martedì 17 luglio 2007

Parte terza

Il risultato delle ricerche fatte finora é che non ho risposte certe da offrire, ma solo ipotesi da profano, forse storicamente fasulle, imprecise, non ancora supportate da adeguata preparazione. Ho ancora molti dubbi, alcuni dei quali destinati a rimanere tali per sempre, e un’insaziabile sete di conoscenza di un secolo di cui sto raccogliendo ogni minima testimonianza con puntiglio quasi maniacale, perché sono convinto che, quanto accadeva novecento anni fa, contenga tali e tante analogie con i nostri giorni e argomenti di attualità così numerosi da consentire, se opportunamente esaminati e confrontati, una maggior comprensione del presente e, addirittura, previsioni sui futuri scenari. Sembra un gioco e per certi versi lo é: un tunnel spazio temporale che collega due epoche lontanissime, soltanto ruotando due numeri, pura e divertente coincidenza, o forse no; due numeri dal forte significato simbolico, sia assunti singolarmente che accoppiati, dodici e ventuno, i primi due numeri, escluso il nulla dello zero, della nostra numerazione decimale. Nel dodicesimo secolo é vissuto Galgano Guidotti, nel ventunesimo stiamo per vivere tutti noi e, anche se non vi é nulla di più convenzionale delle date e dei calendari, il gioco coi numeri mi affascina e diverte. Il secolo che sta per concludersi viene spesso chiamato anche Novecento, esattamente come i fatti che oggi assorbono la mia attenzione, accadevano novecento anni fa. Nuovamente un multiplo di tre, numero divino della Trinità, così come il dodici rappresenta la perfezione poiché é la risultante della moltiplicazione dei quattro punti cardinali con la trinità. Dodici perché dodici sono gli apostoli, i mesi, i segni zodiacali, i cavalieri della Tavola Rotonda, i paladini di Carlo Magno, i compagni di san Bernardo, le tribù di Israele. Ventuno perché in questo giorno cambiano le stagioni, solstizi ed equinozi; ventuno perché basterebbe leggere la storia della nascita dell’ordine cistercense per scoprire il valore attribuito proprio a questo numero dall’intero ordine monastico. Infatti: ?Ventuno monaci insieme all’abate di quel monastero, Roberto, di venerata memoria, partono per decisione comune e si sforzano di portare a termine, di comune accordo, il disegno che hanno concepito con una unica ispirazione. Perciò, dopo molte fatiche e straordinarie difficoltà, quali è necessario che abbiano a soffrire coloro che vogliono vivere piamente in Cristo, raggiunsero finalmente la meta dei loro desideri e arrivarono a Cîteaux, allora veramente luogo orrido e in grande solitudine. Ma, i soldati di Cristo, ritenendo che l’asperità del luogo non discordasse dall’austero proposito che già avevano maturato in cuor loro e considerando l’ambiente come se fosse stato preparato da Dio, ebbero tanto gradito il luogo, quanto prezioso il proposito? (Exordium Cistercii, Capitolo primo). Dodici e ventuno regolano il tempo e la vita; il giorno dura due volte dodici e questo viene anche sottolineato, chiamando mezzogiorno le ore dodici e mezzanotte le ventiquattro. Persino gli intramontabili Tarocchi, proprio attraverso questi due numeri, rimandano al nostro enigma. Saranno sempre coincidenze, però le carte dei Trionfi sono 21 più il Folle che é l’unico non numerato, e, fatto ancora più singolare, le due carte corrispondenti al 12 ed al 21 sembrano riassumere proprio il percorso del nostro eremita. Infatti il 12, ovvero l’Impiccato, raffigurato da un uomo appeso per un piede al patibolo, rappresenta il sacrificio, il cimento, la rinuncia, che possiamo benissimo ritrovare sia nella scelta eremitica che nelle visioni oniriche di Galgano, mentre il 21, il Mondo, simboleggia l’accesso, l’armonia, il conseguimento. Come dire che Galgano può raggiungere tale grado solo passando attraverso la rinuncia esattamente come avviene nella sua leggenda. Ma non é tutto ! Proprio nel trionfo 21, il mondo, simboleggiato da una donna nuda, é affiancato dai simboli dei quattro apostoli, disposti ai quattro angoli della carta. In più, a ben guardare, molto appare regolato dal gioco che chiamerei dell’ ?unodueuno?. L’Amore, VI trionfo, vede un giovane tra due donne, sorvegliati dall’alto da Cupido con l’arco; il Papa, V trionfo, benedice due persone inginocchiate; il Carro, tirato da due cavalli e montato da un eroe; la Giustizia, una donna con due oggetti, bilancia e spada; l’Eremita, con bastone e lanterna; il Diavolo, con due satelliti; le Stelle, una donna che versa due liquidi in due brocche; la Luna, dove due cani ululano all’astro; il Sole, che osserva dall’alto due giovani dinanzi ad un muro, l’Imperatrice, con lo scettro e lo stemma, e, infine, quasi la sintesi dei due numeri, la Ruota della Fortuna, X trionfo, che gira con tre animali, come se la risultante della somma dei due numeri facesse girare il mondo, ma anche come se tale risultato fosse inevitabilmente legato alla circolarità. Questa divagazione cabalistica arriva a condurci persino alla ?Ballata degli Impiccati?, famosa allegoria di Francois Villon che, letta in chiave ermetica, pone il suo accento sul percorso iniziatico che deve condurre alla conoscenza suprema. Quasi attraverso i nostri stessi numeri, l’autore pare infatti indicare una strada che porta dritto ai Fratelli d’Amore, famosa setta esoterica a cui avrebbero aderito, nel tempo, figure di spicco come Dante, Petrarca e molti Stilnovisti. Da qui in avanti, é facile perdersi nei meandri dell’occultismo e delle sette illuminate, dai Rosacroce in poi, lungo un itinerario che, purtroppo, non può essere oggetto di questo lavoro, ma che ci porterebbe a contatto con altri personaggi di assoluto rilievo, da Paracelso a Shakespeare, da Cecco Angiolieri ad Antoine de Saint-Exupéry, da Tommaso Campanella ad Hermann Hesse. Ripiombando invece d’un balzo ai nostri numeri, il 12 nelle vicende di Galgano é così presente che sembra proprio di leggerne la versione di Gabriele La Porta nel suo ?Storia della Magia?, edito da Bompiani. Un passo per tutti: ?Così Galgano procede e si ricongiunge a Michele. Insieme riprendono il cammino e raggiungono la cima di un monte dove sorge una splendida cappella con dodici guglie, dodici rosoni, dodici campane, dodici porte?. Galgano é tutto questo, forse solo un delirio personale del cui risultato, però, sono felice. Galgano ha saputo attrarmi con i suoi misteri e condurmi alla conoscenza di un mondo che ignoravo. Fedele alla sua immagine di accompagnatore di anime, Galgano ha condotto la mia indietro nel tempo per lasciarla ripiombare nel presente, a condizione che possa divulgare il suo grido di allarme per tutto ciò che scompare, anche piano, poco alla volta, a partire proprio dal territorio che lo vide protagonista, dove molto é ormai agonizzante, quasi quanto é stato é ricco e numeroso. Un territorio che il legame tra due santi alquanto singolari contribuisce a definire ed identificare anche geograficamente: san Guglielmo di Malavalle a Castiglione della Pescaia, punto di sbocco al mare della Massetana, e san Galgano a Monte Siepi, punto di inizio della Massetana stessa. Due santi e una strada, due personaggi che tutte le biografie di Galgano collegano tra loro, fino ad ipotizzare una sorta di paternità guglielmita nella conversione dell’eremita chiusdinese. La mia scoperta della figura di Guglielmo di Malavalle risale all’estate del ‘97. Avevo incontrato questo personaggio citato in tutte le vite di san Galgano, ma non sapevo chi fosse. Nei testi in mio possesso se ne davano pochissime notizie, perlopiù leggendarie. Comparso come per magia sui monti intorno a Castiglione, aveva ucciso due draghi, operato qualche miracolo per ritirarsi infine a vita eremitica a Malavalle. Qui era vissuto fino alla morte, avvenuta nel 1157, quando Galgano avrebbe avuto solo nove anni, e, sempre qui, nel luogo in cui venne sepolto, era stato eretto un monastero per opera della comunità di suoi fedeli che dette vita all’ordine dei Guglielmiti, divenuto ben presto diffuso e potente in tutta Europa. Oggi il monastero versa in rovina; san Guglielmo é patrono di Castiglione, Tirli, Buriano e Vetulonia; una volta l’anno i fedeli, con il vescovo di Grosseto in testa, salgono in processione ai ruderi del monastero e, in questa occasione, avviene anche l’ostensione delle sue reliquie. A Buriano é conservato un braccio, a Vetulonia un dito, a Tirli cranio e costole, a Castiglione della Pescaia l’altro braccio e le gambe. Ancora oggi é sviluppata localmente la convinzione che l’agrimonia, nota anche come erba di san Guglielmo, possegga proprietà antidiofidiche. Ne viene infatti bevuto l’infuso bollito in acqua per prevenire febbri e malattie, specialmente la malaria, e per combattere le bruciature ed i morsi dei serpenti. Ho impiegato due anni a trovare i resti del monastero sperduto nella boscaglia. Per due estati ho setacciato la zona, che, oltretutto, abbraccia anche le colline alle spalle di Scarlino. Nessuno sapeva indicarmi l’esatta ubicazione del monastero, più volte mi ero recato a Castiglione cercando di avere informazioni: pressappoco era in quella direzione, dentro la macchia, dopo le prime colline, ad ogni domanda ricevevo solo indicazioni vaghe, di difficile comprensione, come se nessuno volesse lasciarmelo raggiungere. Solo la tenacia dell’indomabile amico Pino ha impedito che abbandonassi le ricerche e, quando ormai disperavo di farcela, dopo l’ennesima marcia forzata, lo abbiamo scovato immerso nella macchia. Ruderi imponenti rendono l’idea di un edificio di notevoli dimensioni, di cui solo la chiesetta é, almeno in parte, conservata, mentre rovi, cespugli, sterpaglie ricoprono quasi tutto. E’ situata lungo il lato meridionale del monastero e, anche se risulta in buona parte interrata, é tuttora agibile e parzialmente integra. Risale alla prima metà del XIII secolo ed ha una semplice pianta ad aula chiusa da un abside semicircolare. Solo la porta attraverso la quale era possibile raggiungere il chiostro mantiene il suo aspetto originale. Nel 1782, in seguito ad un accordo tra il Granduca Leopoldo e gli agostiniani, il convento di San Guglielmo fu soppresso e le sue rendite vennero assegnate al convento di Massa Marittima. L’anno successivo, la corte fiorentina ordinò di vendere al migliore offerente i beni del monastero che divenne così proprietà di privati che sfruttavano i terreni circostanti come pascoli, lasciando andare in rovina la chiesa e le strutture del convento. Altra originale figura di santo, quella di Guglielmo di Malavalle e strano destino. Poco studiato, forse, o più semplicemente penalizzato dalla mancanza di fonti coeve, viene, però, considerato storicamente reale, sebbene non sia possibile attribuirgli alcuna identità certa. L’ipotesi più comunemente accreditata, anche dalle diocesi dei comuni di cui é patrono, é quella che lo identifica con Guglielmo X duca d’Aquitania ed é anche grazie al prestigio di questo personaggio che l’ordine Guglielmita ha potuto affermarsi ovunque con l’appoggio della nobiltà europea, espandendosi fino ai limiti estremi della cristianità. Proprio questa presunta identità rende ancora più singolare il rapporto tra i due santi, quasi un emblematico passaggio di identità culturale tra colui che potrebbe essere il padre di Eleonora d’Aquitania, alla cui corte é prosperata e si é fissata per sempre la letteratura arturiana, e un santo che, con un semplice gesto, rievoca e sublima proprio quell’epopea. Non sono in grado di capire se i miei sono deliri da profano, non supportati da adeguata conoscenza, ma sto ancora cercando di colmare tutte le mie lacune e, per ora, mi interessa la fase divertente del gioco, quella speculativa, quella intuitiva, un gioco che ha come obiettivo la conoscenza. Di certo, anche Guglielmo di Malavalle andava ad ampliare, aumentare, dilatare i dubbi, le domande. Un nuovo enigma nell’enigma, che mi ha portato ad acquistare ogni libro che, nell’indice dei nomi, contenesse un Guglielmo, comprese alcune ?sole? dovute al fatto che, naturalmente, il santo é conosciuto e ricordato con diversi nomi e quello di Guglielmo era, tra i nomi medievali, uno dei più diffusi. Com’era prevedibile, anche in questo caso, le domande decisive sono rimaste senza risposta. Almeno per ora. Guglielmo però mi ha guidato sull’altro versante della Massetana, nei borghi e nei luoghi che videro la sua presenza e che conservano anch’essi gioielli inestimabili di quell’epoca. Guglielmo mi ha spinto alla scoperta di un’altra porzione di territorio che, proprio nel XII secolo, ha conosciuto una nuova, intensa ripresa al punto che le tracce, le vestigia, i resti di quel periodo sono sparsi ovunque, in luoghi affascinanti e sperduti, in vallate rigogliose, sulle rive di fiumi ancora incontaminati, nei pressi di spiagge e splendide insenature. E, oggi come allora, una strada che unisce, collega, avvicina: l’interno con la costa, la terra con il mare, le Colline Metallifere con i porti; una strada che deve aver cercato di attirare parte del flusso che, in epoca medievale, transitava sulla Francigena, allettandolo con nuovi edifici, con leggende di santi, draghi e spade. Sarebbe necessario un enorme lavoro di studio per verificare la veridicità di uno scenario come questo. Il territorio non chiede che di fornire risposte se e quando si deciderà di intraprendere campagne di scavi mirate, per dirimere annose questioni su ruderi come quello della Canonica di Scarlino e dell’abbazia di Sestinga o di qualsiasi altra testimonianza non ancora indagata. Proprio la Canonica di Scarlino rappresenta la punta di diamante di questo iceberg per una quantità di motivi che la rendono infinitamente preziosa, per la sua posizione strategica e la sua presunta imponenza, per il peso che sicuramente ebbe sul litorale assoggettato a Pisa, per quanto potrebbe giacere sotto i pochi ruderi ancora visibili, per la geografia religiosa e politica dell’epoca. E’ davvero incredibile che, nonostante emerga ancora parte dell’abside centrale che permette comunque di attribuire alla basilica originaria sia lo stile romanico-pisano che le notevoli dimensioni raggiunte nel momento di massimo splendore, non sia mai stata avviata una campagna di scavi con l’obiettivo di sollevare la coltre di buio che su di essa tutti gli studiosi lamentano. L’équipe dell’Università di Siena ritiene addirittura che, allo stato attuale delle ricerche, non sia possibile identificare questo luogo con alcuno di quelli noti dalle fonti medievali. Analoga sorte tocca a buona parte del patrimonio artistico di questi luoghi, tra i più ricchi di testimonianze in assoluto al punto di possederne in quantità persino eccessiva. Galgano e Guglielmo mi hanno costretto a percorsi paralleli. figli del loro secolo, uno della prima metà e l’altro della seconda, per questo affini e diversissimi, mi hanno trascinato attraverso questioni teologiche, intrighi di palazzo, conquiste e ritirate, incoronazioni ed investiture, dispute dialettiche ed epiche gesta, attraverso il magico e il sacro, per urlarmi, entrambi, il bisogno di qualcuno che li faccia riscoprire. Al resto penseranno loro, catturando, come hanno fatto con me, chiunque saprà guardare oltre l’evidenza. La mia ricerca, ovviamente, non é conclusa e forse non si concluderà mai. Adesso sto tentando di concentrare la mia attenzione sui trentatré anni di vita di Galgano e sul suo territorio di azione. Cerco testi, documenti, atti degli anni dal 1148 al 1181 e confesso che, secondo me, ne esistono persino di più di quelli che immaginavo, leggendo le continue lamentele di affermati studiosi per la loro carenza nel periodo in questione. Sto cercando, giocherellone come sempre, di trovare notizie di avvenimenti, eventi, storie e fatti tali da poter riempire il calendario di quei 33 anni. Ridisegnare l’intero scenario, cercando di immaginare com’erano lo scontro politico in atto, l’espansione di Siena, il conflitto tra il vescovo di Volterra ed il suo stesso Comune, Pisa, i possedimenti del papato rivendicati anche dall’imperatore, lo sviluppo di Firenze, la nascente Grosseto, l’insediamento vescovile a Massa Marittima, i viaggi, i tempi di percorrenza, le distanze, la viabilità; tutto quanto può concorrere a fornire una fotografia il più veritiera possibile del tessuto sul quale si disegnano le gesta dell’eremita cortese. Un modo di muoversi da povero autodidatta, nel quale spesso avverto la mancanza di guida e di esperienza. Vorrei imparare a leggere le fonti, direttamente, riuscendo a decifrare il latino medievale e la scrittura delle epigrafi. Quello che ho imparato finora, é stato sempre, in qualche modo, contaminato e mai diretto. Sono dovuto ricorrere a traduzioni, commenti, testi, che, in molte circostanze, hanno mostrato errori di ogni genere. Andrebbe fatto un lungo discorso sulla storia, sul modo di apprenderla, sul modo di insegnarla, sul modo stesso di concepirla, ma finirei inevitabilmente fuori tema. Di certo non vorrei intermediari, ma compagni di viaggio e, potendo, sarei volentieri archeologo, antropologo, esperto in epigrafia e testi antichi. Vorrei poter leggere lapidi, iscrizioni, manoscritti; sapermi muovere disinvoltamente tra archivi e musei, perché, ormai, questa é la mia mania: passare al microscopio un secolo, per comprenderlo, convinto come sono, che proprio in quegli incredibili cento anni sono racchiuse le fondamenta del moderno Occidente, con le sue regole, i suoi valori, il suo stile di vita. Niente, a mio avviso, ci può meglio illuminare su come siamo oggi e sulle origini di quella che, nonostante tutto, continuiamo a chiamare ?civiltà? occidentale. Abbiamo un enorme debito di riconoscenza verso quei cento decisivi anni, ma, allo stesso tempo, grava su di essi anche l’eventuale colpa di come siamo, a seconda di quello che pensiamo di questa moderna e cosiddetta ?civile? società che ne é il prodotto. Se dobbiamo essere grati alla chiesa per averci conservato e trasmesso opere dell’ingegno umano, dobbiamo anche riconoscere che il suo velo uniforme di valori ha coperto allora tutta la cristianità, eliminando dall’Europa le ultime sacche di paganesimo e di culti locali che ancora vi sopravvivevano, con tutto il loro patrimonio culturale ed etnico. Ed é sempre la chiesa, divenuta per noi occidentali cattolica a partire dalla metà dell’XI secolo, quando, nel 1054, ha luogo lo scisma mai più ricomposto con la chiesa ortodossa d’oriente, a tracciare le regole dell’esistenza. Nessun potere terreno può competere con quello divino. E’ proprio nel XII secolo che si definiscono e si codificano alcune questioni teologiche di rilievo, che appare e diviene parte del dogma il Purgatorio, che viene istituito il processo di beatificazione, che si intensifica la lotta per imporre definitivamente il celibato al clero, che esplode il culto mariano, che si rinnova la liturgia, che iniziano le repressioni degli eretici. La visione del mondo della chiesa cattolica viene difesa e diffusa da alleati fedelissimi, tra i quali spiccano i Cistercensi, la più potente, radicata e vasta organizzazione monastica in Italia e in Europa nel XII secolo e quella decisiva in quasi tutte le vicende religiose dell’epoca. Una rete di chiese, abbazie, monasteri, pievi, cattedrali, eremi, canoniche, ricopre tutti i territori abitati. Non esiste nucleo umano senza la sua Pieve. Anche se insidiato, combattuto, sconfitto, umiliato, esautorato, il Papato non perde mai il suo primato sull’organizzazione più capillare e ramificata che sia mai esistita. Le bolle papali di conferma di privilegi, esenzioni, nuove assegnazioni, donazioni, sono tra i documenti più interessanti dell’epoca, così come lo sono gli elenchi delle diocesi e della loro suddivisione. La chiesa, a differenza del mondo laico, conserva, mantiene, archivia, redige, ordina, dispone. Fino a quando é unica tenutaria del sapere, costruisce la memoria storica dell’occidente, che, altrimenti, avrebbe un buco nero più o meno dalla caduta dell’impero romano fino quasi al termine del XII secolo, quando, anche nel mondo laico, inizia a prevalere la prassi dell’atto scritto su quella della semplice tradizione orale. La nascita e la diffusione delle scuole di diritto, non a caso, é un’altra delle caratteristiche salienti di questo periodo: processi lenti, ma inarrestabili, che disegnano costumi, abitudini, regole. Galgano stesso é, in qualche misura, testimone e protagonista di questa trasformazione. E’ proprio con lui, come afferma lo storico André Vauchez, che disponiamo del primo documento di un processo di canonizzazione mentre fino ad allora si era proceduto solo ?vox populi? o per autonome decisioni di vescovi e autorità ecclesiastiche locali. A partire da Galgano Guidotti, e questo é, per certi versi, paradossale, la Chiesa inizia ad introdurre criteri e regole che permettano di stabilire l’effettiva santità dei vari candidati, attraverso un procedimento che diverrà, nel tempo, sempre più rigido e vincolante. Strano destino per un santo che, probabilmente, é tra i più ?manipolati? e meno attendibili dell’interminabile schiera che arriva fino ai giorni nostri. Santi, angeli e arcangeli, miracoli, sogni premonitori, magia, mistero, tutto convive, tra sacro e profano, e consente letture di ogni genere: con gli occhi del fedele, del ricercatore, dello scettico, dell’ateo, del turista, dello studioso. A tutti, comunque, regala scenari fantastici: colline, boschi, fiumi, luoghi dimenticati che il turismo di massa e la moderna viabilità hanno ignorato, angoli di luce nel buio delle moderne città, perle da cogliere a prezzo di qualsiasi sacrificio, nelle affollate metropoli o nelle deserte campagne, in ogni angolo di questa terra così immeritatamente ricca e fortunata. Dopo quasi cinque anni di studi e ricerche, questo é il maggior debito di riconoscenza che ho con Galgano. E’ per questo che non potrei considerare concluso il mio impegno, anche se scoprissi e risolvessi tutti gli enigmi che scaturiscono dalla sua esistenza, dal suo culto e dalle sue avventure. Galgano non ha giocato questo scherzo ad un uomo di fede, ad un cultore dell’arte medievale, ad uno studioso, un archeologo. Galgano ha catturato uno come me, senza dio, né santi, né miracoli; uno qualsiasi che, fino al giorno prima, mai avrebbe immaginato quello che stava per accadergli; un distratto, un pigro e svogliato cittadino qualunque, troppo occupato dalle mille idiozie della vita quotidiana per accorgersi di quello che stava perdendo; uno come tanti, potrei dire la maggioranza in questo paese, ignaro del patrimonio che abbiamo a disposizione, che non abbiamo guadagnato per meriti o capacità, ma che ci é stato regalato da un mondo, forse meno progredito, ma certamente anche meno distratto. Lo dico senza alcuna nostalgia, mi considero in tutto e per tutto figlio del mio tempo, non saprei rinunciare alle comodità del progresso, ai vantaggi della tecnologia; non sogno di tornare a vivere nel Medioevo, e neppure nell’antico Egitto o tra i Maya, tuttalpiù vorrei guardare avanti, carpire il futuro, conoscerne le strade. Il passato, invece, non é altro che la somma di ciò che é già stato, di fatti accaduti, della storia e della vita di uomini e donne che ci hanno preceduto e che, loro malgrado, hanno condotto noi dove siamo oggi. Niente si ripete mai uguale a se stesso e questo é persino banale da affermare, ma a volte, atmosfere, emozioni, sensazioni, riproducono scenari già visti, paesaggi dall’insieme noto, conosciuto, riconoscibile. La memoria storica é, forse, la base della supremazia umana, é la nostra banca dati primaria poiché tutto ciò che passa diviene storia, ciò che accade é ancora cronaca e ciò che sarà può solo essere ipotesi. Se in alcune epoche l’uomo ha saputo produrre opere inestimabili, in altre ha solo causato la loro distruzione, in altre ancora il suo slancio creativo ha convissuto con uno spirito distruttivo altrettanto dirompente. L’epoca in cui viviamo noi ha, però, rispetto a tutte quelle che l’hanno preceduta, un obbligo in più: quello di salvaguardare, proteggere, conservare ciò che é stato, nel bene e nel male, come esempio da seguire o da evitare, come testimonianza di vita, come patrimonio culturale comune. Proprio la civiltà dei consumi che tutto divora e rifiuta, che corre instancabile, distratta e superficiale, ha il dovere di prendersi cura di un’eredità, anche difficile, ma preziosa per ognuno di noi. L’unica risposta possibile per ora al mistero di Galgano é questa. Vere o false che siano la sua leggenda, la spada, i miracoli, le manipolazioni, la storia, i prodigi, Galgano é vivo e presente nelle testimonianze che portano il suo nome. A chiunque avrà anche solo la fortuna di vederle, sapranno riproporre gli stessi dubbi, regalare le stesse emozioni, trasmettere la medesima sensazione di pace e di armonia, stupire, con la forza dei loro simboli, anche il più insensibile degli uomini. Non importa se alla fine di questo viaggio sarò riuscito a laurearmi, se avrò terminato questo libro, se avrò realizzato tutti i progetti che ho nella mente; non importa se non avrò trovato risposte. Il viaggio é già stato comunque entusiasmante fin qui. Meritava di essere intrapreso.

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