lunedì 23 luglio 2007

Parte quattordicesima

Scherzi a parte, sarebbe necessario aprire una nuova parentesi per approfondire la vastissima simbologia numerica della religione cattolica, dove i medesimi numeri assumono differenti significati a seconda del loro utilizzo, però é necessario e sufficiente ricordare almeno il senso di quelli più importanti per comprendere il peso di questo simbolismo sul pensiero occidentale, anche su quello moderno in misura maggiore di quanto si possa credere, la sua influenza sul quotidiano, i suoi risvolti più nascosti, la mostruosa preparazione teologica che diviene sempre più indispensabile per poter affrontare qualsiasi disputa, persino le infinite tradizioni popolari che hanno nei numeri la genitrice più prolifica.
Cercherò di essere più sintetico e chiaro possibile, anche se l’argomento é davvero complesso.
Partiamo subito dal numero che piace tanto a Gioacchino da Fiore, il dieci.
Se lo pensiamo scritto in cifre latine, otteniamo una bella X.
Essa può tranquillamente avere molteplici chiavi di lettura: può contrassegnare un punto, per esempio, cioè quello che si ottiene all’incrocio dei due assi, oppure essere il segno della moltiplicazione, ma la ics é anche, e molto spesso, il simbolo dell’incognita, dello sconosciuto, dell’ignoto.
Tutte queste valenze sono presenti nel medesimo numero e variano di significato in base alle circostanze in cui esso viene utilizzato.
L’esatta interpretazione deve provenire dalla conoscenza dei riferimenti, dalla capacità di analizzarli e correlarli e ciò vale per tutti i numeri che possiedono anche un minimo valore simbolico possibile.
Non esiste una tradizione cattolica che rappresenti l’unità, poiché essa é, per definizione, esclusivo attributo divino.
?Non avrai altro Dio all’infuori di me?, e per questo motivo, ma guarda un po’, possiamo ritrovare una simbologia dell’Uno solo in presenza ed in coppia con il Due, mentre la stessa é abbondantissima per il Due da solo, che, guarda caso, risulta essere anche il numero centrale di entrambi i nostri due secoli.
I testi biblici e patristici sono ricolmi di coppie: Caino e Abele, l’anima e il corpo, i regni d’Israele e di Giuda, i due Testamenti, e così via, come lo é, per esempio e di conseguenza, anche gran parte dell’arte romanica.
Laddove ?la dualità genera la molteplicità, l’unità genera stabilità?, afferma Pitagora che si rifà a Boezio.
Ed ecco che, approfondendo la simbologia del 2, ritroviamo, nuovamente, legami profondi con il nostro eremita.
Siamo nel chiostro di Moissac: esso può venire suddiviso in due parti e, nei due settori che ne risultano, si possono facilmente riconoscere temi simili tra loro.
Sia nell’uno che nell’altro settore, ritroviamo la figura di Daniele che, in uno, riceve il pranzo di Abacuc portato dall’angelo, all’interno di un programma nel quale domina la Vergine, in quanto la scena é una prefigurazione della Natività virginale, mentre, nell’altro, circondato dai suoi leoni, é la figurazione del Cristo della Passione.
E’ stato detto e scritto che il dualismo é una componente essenziale del simbolismo romanico e, forse, non esiste in quest’arte nulla di più singolare delle Maschere della Terra, solitamente collocate all’esterno delle chiese per difenderne ed esorcizzarne l’ingresso, con chiaro valore scaramantico.
Temi apocalittici fanno spesso loro da cornice, rivestendo gli archivolti dei portali con rappresentazioni dell’Agnello, delle Virtù, del Giudizio, dei Lavori dei mesi, dei segni dello zodiaco.
Una tra le più incredibili é, sicuramente, quella che decora un capitello a Echillais, soprattutto per la sua straordinaria rassomiglianza con i Tao t’ie cinesi dell’epoca Han, con i medesimi occhi sporgenti, con uguali orecchie a punta di lancia, identico labbro cascante e, particolare davvero strano, mancanti tutti della mascella.
La Maschera di Echillais si richiama alla descrizione del leviatano, o coccodrillo mostruoso, contenuta nel libro di Giobbe, ma l’ispirazione può anche assumere diversi riferimenti, come nel caso dei molti leoni con due corpi e una sola testa, che simboleggiano contemporaneamente la divisione dell’Uno in Due e il ritorno del Due all’Uno, passaggio che costituisce l’essenza stessa delle Maschere della Terra.
Quasi ovunque possiamo, pertanto, ritrovare elementi che intendono sottolineare ed illustrare la dualità che governa il mondo.
I numeri a cui, in assoluto, il Cristianesimo assegna maggiori virtù sono comunque il 3 e il 4.
La loro somma produce il sette, il loro prodotto é dodici.
Sant’Agostino ritiene che essi rappresentino rispettivamente lo spirito e la materia.
Tre é il numero dell’anima; corrisponde alla Trinità, ai giorni trascorsi da Cristo nel sepolcro, alle tre età del popolo ebreo, ai tre significati della Scrittura.
Nell’Antico Testamento la Trinità é simboleggiata dai tre angeli alla mensa di Abramo.
Quattro é il numero degli elementi, delle stagioni, dei fiumi del Paradiso (Fison, Geon, Eufrate e Tigri), delle lettere che compongono il nome del primo uomo ADAM; che sono, anche, le iniziali dei quattro punti cardinali (anatolé, dysis, arktos, mesêmbria).
Le combinazioni di questi due numeri appaiono in moltissimi luoghi sacri, vuoi sotto forma di somma, che di prodotto, che di proporzione, o, addirittura, di contrapposizione, quasi a sottolineare la divisione tra la terra e il cielo, tra il corpo e lo spirito.
Molto esplicativa in proposito é l’iscrizione contenuta nel chiostro di Vaison-la-Romaine, in Provenza, che, tradotta, recita più o meno così:
?Io vi esorto, fratelli, a trionfare del partito dell’Aquilone, osservando fedelmente la regola del chiostro, perché così pervenne all’Austro (Cristo); che il triplice fuoco divino non dimentichi d’infiammare la dimora quadrangolare, in modo da vivificare le pietre viventi in numero di due volte sei. Sia pace a questa casa?.
Il 5 ha una posizione davvero particolare, poiché può essere la perfetta raffigurazione dell’uomo microcosmo, quanto alludere alla stella della Cabala, con significato alquanto malefico.
Nel nostro amato dodicesimo secolo, é Ildegarda di Bingen a rappresentare il rapporto tra il 5 e l’uomo.
Infatti nei suoi incredibili disegni, a proposito, tutti dovrebbero guardarseli per la loro bellezza, per i colori, gli accostamenti e gli scenari, l’uomo iscritto nel quadrato si divide, in altezza dalla testa ai piedi, in cinque parti uguali, come anche nel senso della larghezza, con le braccia distese.
Inoltre, l’uomo é retto dal numero 5, poiché possiede cinque sensi e cinque estremità: la testa, le braccia e le gambe.
Le rivelazioni che Mosé riceve da Dio sul monte Sinai sono racchiuse in cinque libri e cinque sono le pietre che Davide raccoglie nel letto del torrente per poter affrontare Golia.
A questo proposito, é nuovamente sant’Agostino a fornirci una lettura simbolica precisa:
?Le cinque pietre di Davide rappresentano i cinque libri della Legge di Mosé. La Legge, a sua volta, contiene i dieci precetti salutari, dai quali derivano tutti gli altri. La Legge é perciò rappresentata contemporaneamente dal numero Cinque e dal numero Dieci. Ecco perché Davide combatte con cinque pietre e canta, com’egli dice, con uno strumento a dieci corde?.
Contrapposto al Cinque, simbolo dell’umanità, vi sarebbe il Sei, che rappresenta la potenza del sovrumano.
Sei sono i giorni della Creazione e Sei le opere di misericordia.
Per sant’Agostino é la somma dei primi tre numeri (1+2+3=6), ma anche il prodotto delle parti uguali (2 e 3) e, anche, quello dei primi tre numeri (1x2x3=6).
Quasi tutti, invece, sanno che, ripetuto tre volte, diviene il numero della Bestia dell’Apocalisse (666).
Il Sette é tra i numeri che occupano un ruolo predominante all’interno della Bibbia ed é, per eccellenza, un numero legato all’Apocalisse.
Abbiamo così sette Chiese d’Asia, sette corna della Bestia, sette coppe della collera divina, sette sacramenti, sette gradi del sacerdozio, sette virtù teologali, sette peccati capitali, sette discipline del sapere (trivium più quadrivium), sette sigilli da aprire.
L’otto, invece, simboleggia la resurrezione e la rinascita mediante il battesimo.
Otto sono le Beatitudini e le tonalità della musica gregoriana.
I nove cori angelici basterebbero da soli a fornire le valenze simboliche del numero Nove, che contiene tre volte il numero distintivo della Trinità.
Passando per i nove cieli si accede al decimo, la sede dei beati.
Infrangendo la barriera del Dieci, cifra del Decalogo e quindi simbolica della Legge, l’undici rappresenta il peccato in quanto appunto infrazione della Legge stessa.
Del Dodici abbiamo già ampiamente parlato e non occorre ritornarci, mentre ancora qualcosa rimane da dire sul Ventiquattro (2 volte dodici) che é anche il numero dei Vegliardi dell’Apocalisse, delle ore del giorno sommate a quelle della notte, dei Lavori dei mesi sommati ai Segni dello Zodiaco, quasi a simboleggiare l’anno cosmico in relazione con il movimento rotatorio delle sfere celesti.
Infine, il Quaranta, numero dei tempi delle sofferenze bibliche: quaranta giorni e quaranta notti di diluvio, quaranta giorni di digiuno di Gesù dopo il battesimo, quarant’anni di vagabondaggio degli Ebrei nel deserto prima di raggiungere la Terra promessa.
La vastissima simbologia dei numeri, naturalmente, non si esaurisce in queste poche righe, ma, già così, riusciamo ad avere un’idea del suo valore e della sua importanza e, soprattutto, comprendiamo meglio il suo evidente ruolo, così decisivo, specie negli anni che più ci interessano.
Il dogma passa, infatti, sia attraverso la sua rappresentazione figurata che attraverso il significato simbolico di tutti gli avvenimenti ad esso collegati e prevede, sempre, due differenti chiavi di lettura: una, adatta all’immenso popolo dei fedeli che, nella sua stragrande maggioranza, non sa ancora leggere e scrivere e a cui, pertanto, viene richiesta solo la semplice osservazione, l’altra per ?professionisti? della fede che, invece, necessita di profonde conoscenze, indispensabili per l’interpretazione nascosta nel simbolo. Così, succede che tutto quanto orna i luoghi di culto sia funzionale al racconto e possa venire definito come un vero e proprio ?fumetto? ante litteram, adatto a trasmettere su differenti piani poiché deve coniugare insieme semplicità di lettura e rigore dottrinale.
Qualunque fedele, anche il meno preparato, può facilmente riconoscere le storie bibliche, le vicende dell’Antico e Nuovo Testamento, le Verità rivelate e tutti i principali cardini su cui si regge il dogma della fede.
Per contro, chi possiede la ?conoscenza? può, invece, decrittare e svelare l’innumerevole mole di messaggi contenuti nelle stesse immagini, elevandosi, di fatto, ad un ruolo superiore, paragonabile a quello di chi dispone di qualità eccezionali.
Tutto il secolo é pervaso da questa commistione tra simbologia e realtà, tra interpretazione e apparenza, con frequenti sconfinamenti nell’esoterismo, nella magia, nell’occulto.
Non é un caso, quindi, se viene attribuita ad un altro incredibile personaggio del XII secolo, una stuzzicante profezia che prevede la fine del mondo con l’ascesa al trono papale di Petrus secundus, colui che dovrebbe venire eletto subito dopo la scomparsa del successore dell’attuale pontefice, Giovanni Paolo II.
Se ciò fosse vero, saremmo davvero vicini all’Apocalisse e dovremmo rendere merito di questa profezia a san Malachia, monaco cistercense di cui, naturalmente, si conosce ben poco e che visse, secondo gli studiosi, tra il 1094 e il 1148, anno in cui spirò, pare tra le braccia di san Bernardo, nel giorno dei defunti, ossia il 2 novembre.
Guarda caso, lo stesso anno in cui nasce san Galgano.
Canonizzato nel 1190 da Clemente III, per i suoi meriti e il suo contributo al riassetto della chiesa irlandese, venne ?sistemato? tra i Cherubini e i Serafini.
Infastidito dagli appellativi di ?mago? e di ?profeta? che spesso gli venivano attribuiti dalla gente, preferiva viaggiare nell’anonimato, senza mai annunciare il suo arrivo ed é grazie a lui che i cistercensi si sono insediati anche in Irlanda.
Tra le tante, la profezia che più ha dato fama e notorietà al monaco di Armagh, é, ovviamente, considerata di incerta attribuzione e fa la sua prima comparsa, molti secoli dopo la morte del suo presunto autore, in un’opera del benedettino Arnoldo Wion, stampata a Venezia nel 1505 e intitolata ?Lignum Vitae?.
Si tratta di una serie di motti che fornirebbero l’esatta cronologia dei papi a partire da Celestino II (1143-1144) per giungere sino al giorno del Giudizio, per un totale di 112 versetti (altro numero affine ai nostri), corrispondenti ad altrettanti pontefici.
L’ultimo verso, ovvero il centododicesimo, recita esattamente così:
?In persecutione extrema sacrae romanae ecclesiae sedebit Petrus romanus, qui pascet oves in multis tribolationibus; quibus transactis, civitas septis-collis diruetur, et Judex tremendus judicabit populum suum. Amen.? (Durante l’ultima persecuzione della santa romana chiesa, siederà Pietro Romano, che pascerà le sue pecore tra molte tribolazioni, dopo le quali la città dei sette colli sarà distrutta e il Giudice terribile giudicherà il suo popolo. Così sia.).
San Pietro fu il primo Papa, colui al quale Cristo disse: ?Tu sei Pietro e su questa Pietra edificherò la mia Chiesa?.
L’elenco ufficiale dei papi, però, prosegue poi con moltissime varianti, sia per le successioni, che per le date, che per i nomi, poiché la storia della Chiesa é ricca anche di figure come quelle degli antipapi o come di quelli erroneamente considerati come pontefici.
Queste innumerevoli discordanze, impediscono di avere un effettivo quadro cronologico a prova di errore da poter confrontare con quello della profezia, ma, ciò nonostante, lo scenario previsto di Malachia rimane inquietante e denso di significati.
Ecco così che, dopo papa Wojtyla (piccola osservazione: mi pare che sia uno dei primi papi, se non il primo, ad essere divenuto più famoso con il suo nome ?civile? che con quello religioso), dovrebbe venire eletto un pontefice che risponde al motto De gloria olivae e, subito dopo, l’ultimo, l’ormai famoso Petrus II, quello durante il cui pontificato avverrà la fine del mondo.
In questa divagazione sul simbolismo religioso ho preferito limitarmi soprattutto all’aspetto numerico, ma é ovvio che vi sarebbe ancora molto da dire sulla simbologia delle figure, degli animali, delle posizioni, delle piante e, praticamente, di qualsiasi cosa venga rappresentata negli edifici e nelle opere religiose.
Non si può comprendere appieno lo sviluppo storico, specie quello del periodo medievale, senza tenere conto di questa realtà o sottovalutandone l’importanza.
Indiscutibilmente, in essa, i numeri rivestono comunque un ruolo di primo piano, come per Alano di Lilla, secondo cui: ?l’idea divina modella la figura del mondo servendosi dei numeri?, o per Ugo da San Vittore, che alla numerologia biblica ha dedicato parte della sua opera e dei suoi commentari.
Del resto, basta concludere questa lunga parentesi citando la descrizione della Città Celeste contenuta nel capitolo 21 (riecco anche lui) dell’Apocalisse di Giovanni, per comprendere che, all’interno di questa onnipresente simbologia, il numero dodici, quello che a me interessa più di tutti insieme al 21, é in posizione assolutamente dominante:
?E l’angelo mi trasportò in ispirito su un’alta montagna e mi mostrò la città santa, Gerusalemme, che scendeva dal Cielo, da presso Dio, pronta come una sposa abbigliata per il suo sposo... Il suo splendore era simile a quello di pietra assai preziosa... Aveva intorno un’alta e robusta muraglia. Aveva dodici porte, e sulle porte dodici angeli, e dei nomi v’erano scritti, quelli delle dodici tribù dei figli d’Israele. A Oriente, tre porte. A settentrione, tre porte. A Mezzogiorno, tre porte. A occidente, tre porte. Il muro della città aveva dodici fondamenta, e sopra di esse dodici nomi, quelli dei dodici Apostoli dell’Agnello...La città aveva la forma di un quadrato. La lunghezza, l’altezza e la larghezza erano uguali (12000 stadi)... La città non ha bisogno né del sole né della luna che la illuminino, perché la gloria di Dio la rischiara e la sua luce é l’Agnello... Le dodici porte erano dodici perle...?.

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