venerdì 20 luglio 2007

Parte settima

Ho provato ad immaginare gli undici mesi finali della vita di Galgano. Secondo le fonti già citate, la sua conversione sarebbe avvenuta alla vigilia del Natale del 1180, per concludersi con la morte, per denutrizione e stenti, il 30 novembre 1181, dopo 333 giorni di eremitaggio. Mentre si sta recando, forse per un appuntamento con Polissena, al castello di Civitella, il suo cavallo si impunta e non vuole saperne di proseguire. Trascorsa la notte alla pieve di Luriano, Galgano riprende il cammino per Civitella la mattina seguente e, di nuovo, il suo destriero si arresta nello stesso luogo del giorno precedente. Galgano decide così di lasciare che il cavallo lo conduca dove vuole. Incredibilmente, esso lo guida nel luogo del suo secondo sogno, proprio in cima alla collina di Monte Siepi. A leggere le sue biografie, quella di Galgano é stata una vita eremitica davvero singolare, é più il tempo trascorso fuori dell’eremo di quello passato nel raccoglimento e nella preghiera. Subito dopo aver infisso la spada, e nonostante una voce che, per ben tre volte, gli impone di rimanere nell’eremo, Galgano si reca in viaggio dal papa a Roma, visita i monaci di Malavalle, cerca insistentemente l’aiuto dei suoi concittadini per la costruzione della casa rotonda richiesta in sogno dagli apostoli. Eppure io non sopravviverei neppure dieci giorni sui monti, a vivere di bacche e radici; a parole sembra facile, ma vorrei vedere quanti moderni occidentali sarebbero davvero in grado di farlo. Vista da questa prospettiva, forse, non é un caso nemmeno l’attuale moda dei corsi di sopravvivenza, la next age con le sue fughe irreali, il moltiplicarsi di indovini, maghi, cartomanti, stregoni, sette, fedi: una convulsa corsa verso l’illusione, il miraggio, la vita eterna. L’edificio che, per quasi novecento anni, ha sorretto l’occidente inizia a sgretolarsi e forse é un bene. Oggi come allora, però, dobbiamo parlarne, confrontare idee, opinioni, immaginare nuove strade, regole, rapporti. Anche se manca il tempo, se veniamo travolti da frenesie, ritmi, scansioni che limitano, che impediscono, che scoraggiano. Interrogarsi sul futuro, cercare di dominarlo, sperare di precedere, migliorare e crescere, ogni cosa é meglio che trascinarsi vegetando e affidarsi al vuoto del destino. Galgano sceglie la sua strada, é artefice delle sue decisioni di vita, é un ribelle e un ingrato che abbandona un’anziana madre vedova per inseguire i suoi miraggi. La sete di avventura e di esperienza di Galgano percorre strade magiche e cariche di fascino. Egli ode le prodezze del grande Guglielmo di Malavalle, uccisore di draghi, della sua spada incantata, dei suoi miracoli. Sa che egli vive e predica non lontano da lì, verso la costa, al termine di quella strada su cui Galgano, bambino, vede scorrere uomini, merci, eserciti. Ha solo nove anni, ma la curiosità é più forte della sua giovane età. Ha udito i racconti che narrano la storia del santo di Malavalle ed é rimasto scosso e colpito. Per tutti Guglielmo X duca d’Aquitania é morto nel 1137, mentre si sta recando in pellegrinaggio per espiare colpe commesse durante una vita dissoluta e peccaminosa. Si dice che sia stato proprio san Bernardo di Chiaravalle a convertirlo, pieghandolo alla fede e spingendolo ad un cammino di penitenza. Fin qui le fonti, però nessuno vedrà mai la salma del duca e la notizia della sua morte sarà diffusa solo dagli uomini che lo accompagnavano. Di fatto egli scompare, lasciando la figlia Eleonora unica erede del suo vastissimo dominio. Il santo di Malavalle appare in Maremma alcuni anni dopo questi avvenimenti. Niente può confermare che si tratti della stessa persona, ma la tentazione di accreditare questa tesi é forte, proprio perché offrirebbe nuova e infinita materia all’enigma. Immaginiamo il grande Guglielmo messo alle strette da San Bernardo: egli rappresenta una spina nel fianco per il disegno della chiesa, che necessita di alleati forti, come potrebbe essere il re di Francia, se solo potesse disporre anche delle terre d’Aquitania. Ed ecco la merce di scambio, ciò che il monaco cistercense può offrire al nobile aquitano: lui dovrà sparire, simulare la sua morte e lasciare così la figlia Eleonora, allora quattordicenne, unica erede dei suoi domini; Bernardo in cambio si impegna per farla maritare con l’erede al trono di Francia. L’unione delle due case rafforzerà enormemente il regno e la chiesa potrà disporre, finalmente, di un alleato in grado di sconfiggere i suoi nemici, mentre Guglielmo potrà, perlomeno, vedere il suo stesso sangue unito a quello reale. Bisogna ricordare che il duca aquitano é alle strette con la Chiesa ed é già stato più volte minacciato di interdetto e scomunica. E’ facile immaginare il dilemma del duca: egli sa bene che la scomunica, sciogliendo i suoi sudditi dal giuramento di fedeltà, può rivelarsi fatale per lui in un territorio fortemente cristianizzato ed é consapevole che ciò potrebbe portarlo, prima o poi, ad una sicura sconfitta. Così Guglielmo accetta l’offerta, simula la partenza per il pellegrinaggio e, subito dopo, fa diffondere la notizia della sua morte. Addirittura invia i suoi messaggeri nei suoi domini e presso la corte reale, con l’incarico di trasmettere insieme alla notizia del decesso, anche quelle che dovranno essere considerate le sue ultime volontà, prima fra tutte, quella relativa al destino di sua figlia e della sua stirpe. Le nozze reali tra Eleonora e Luigi VII vengono effettivamente celebrate in gran pompa il 23 luglio 1137, mentre già l’8 agosto dello stesso anno, suo marito sale al trono di Francia, subentrando al padre, deceduto dopo una lunga malattia. Fonti e leggenda si mescolano, rendendo plausibili scenari ed ipotesi di ogni genere. Quella riportata da Paolo Pisani nel suo ?Santi, Beati e Venerabili della provincia di Grosseto?, edito da Cantagalli, permette addirittura un confronto cronologico. Leggiamo Pisani: ?Convertito da san Bernardo, il duca Guglielmo si reca nel bosco per trovare la via della salvezza con l’aiuto di un eremita che non lo assolve e lo invia da un altro religioso che lo indirizza infine ad un terzo. Attraverso questi viaggi simbolici Guglielmo ricerca la strada verso la santità e verso le necessarie sofferenze per ottenerla. Sarà qui che riceverà il ?giacco?, la corazza di ferro che indosserà per il resto della sua vita come cilicio. Recatosi a Gerusalemme, vi rimane per nove anni, dopodiché torna in Europa e nei pressi di Lucca é tentato di riprendere la vita militare. In procinto di assalire un castello, Dio per impedirlo, lo rende cieco. Si pente e decide di tornare nell’eremo di Gerusalemme. Viene però catturato dai Saraceni che quasi subito lo liberano per il gran puzzo di carne putrefatta che usciva dalla sua corazza. Ritorna nella città santa di Gerusalemme e la lascia definitivamente dopo due anni. Dopo un pellegrinaggio in Spagna al santuario di S. Giacomo di Campostella, si trasferisce in Italia per fondare una comunità eremitica vicino Pisa, a Livallia, ma scandalizzato dalla condotta morale dei confratelli si costruisce un rifugio solitario sul monte Pruno. Ultima sua dimora é la valle detta ?Stalla dei Rodi?, nome poi cambiato più tardi in Malavalle... Qui il santo vi si stabilì nel settembre dell’anno 1155. Nel gennaio dell’anno successivo accolse presso di se un discepolo chiamato Alberto con il quale visse sino al trapasso avvenuto il 10 febbraio 1157?. Ufficialmente, Guglielmo é morto nel 1137. Non sappiamo quanto tempo trascorre con i tre eremiti, ma possiamo immaginare che non sia molto, forse un anno o due. Nove anni passano in Terrasanta, poi, un altro periodo indefinito a Lucca, ancora due anni a Gerusalemme, un viaggio a Santiago e infine Livallia e il monte Pruno. Quando si stabilisce definitivamente a Malavalle sono passati diciotto anni dalla sua morte ufficiale. I tempi tornano e, anche se nulla di tutto ciò é dimostrabile e certo, non é nemmeno possibile escludere che i fatti siano andati proprio così. Se a tutto questo aggiungiamo anche che il culto di san Guglielmo viene autorizzato dal solito Alessandro III, su richiesta del vescovo di Grosseto e che, nel 1211, Innocenzo III approva la regola del nascituro ordine dei Guglielmiti, allora i legami con Galgano divengono innegabilmente ancora più stretti. Guglielmo di Malavalle porta con sé tutta l’epica e le atmosfere del suo mondo, di quelle terre dove era fiorita la lirica dei trovatori, che si era nutrita dei miti di una civiltà precristiana, laica, illuminata. Giunto nell’aspra Maremma, vi fissa la sua ultima dimora. Nelle sue lunghe camminate di penitenza e preghiera, si spinge spesso anche all’interno, via via sempre più lontano dal suo eremo tra i monti di Tirli. Così accade che Galgano lo sorprende, nei pressi del mulino di Luriano, dove Guglielmo si sta bagnando nel fiume. Ha lasciato armi e vestiti sulla sponda, non si avvede del ragazzino che si allontana furtivo con la spada in pugno. Galgano la custodirà gelosamente fino all’età di trentadue anni, poi la infiggerà con forza nella roccia. Il rito si compie, il mito si rinnova, inizia una simbolica e reale lotta contro il male. Il diavolo in persona tenta Galgano e tre ?invidiosi’ distruggono l’eremo e spezzano la spada durante la sua assenza. Anche in questi due aspetti, presenti in tutte le biografie del santo, é possibile riscontrare analogie, richiami, allusioni a miti e leggende universali. Satana tenta di ingannare Galgano e quando si rende conto di non poterlo battere, fugge ululando e abbandonando sul posto una grande trave di fuoco. Gli invidiosi, invece, approfittano della sua assenza, egli infatti é in viaggio per Roma, per penetrare nell’eremo. Qui tentano inutilmente di estrarre la spada dalla roccia ?con marroni e altri ferri? e, non riuscendovi, la spezzano in tre parti, abbandonandola infranta sulla cima della collina. Narrano le leggende che, in seguito, i tre non ben identificati invidiosi, vengono puniti dalla giustizia divina in maniera alquanto singolare: uno cade in un fiumicello d’acqua annegandovi, un altro viene colpito da un’improvvisa folgore, rimanendo fulminato sul posto, ed il terzo viene aggredito da un famelico lupo che, dopo averlo azzannato al braccio, lascia miracolosamente la preda quando l’uomo, forse per paura o per reale pentimento, invoca l’aiuto proprio di Galgano. Punizione quanto mai simbolica, con la presenza dei tre elementi, terra, fuoco, acqua, del pentimento e del perdono, dell’inflessibilità della giustizia divina. Ancora oggi la mano scheletrita esposta nella bacheca presente nella cappella degli affreschi, é attribuita, da un approssimativo cartello scritto a mano, all’invidioso assalito dal lupo, come se la belva l’avesse recisa di netto dal braccio. Altra stranezza di difficile comprensione, non pensavo che resti mortali di presunti nemici, potessero divenire reliquie oggetto di culto, sempre che, con questa attribuzione, non si voglia sottolineare il pentimento e, quindi, l’elevazione del vecchio avversario a novello adepto, sorta di figliol prodigo a cui attribuire maggiori attenzioni che al resto del gregge. Quando Galgano torna da Roma, ma quanto ci é rimasto, chi ha visto, cosa ha visitato, sono tutte domande senza risposta dal momento che nessuna fonte narra in modo dettagliato di questo suo viaggio, trova l’eremo devastato e la spada spezzata. Poiché, in sogno, l’arcangelo Michele gli ha intimato di non lasciare mai l’eremo per nessun motivo, Galgano crede che l’incursione sia la punizione per non aver rispettato il volere divino. Ma, contrariamente ai suoi timori, Dio stesso gli parla, per ben tre volte, nel sonno e ?mostrogli che dovesse porre la spada rotta in sul pezzo che era rimasto fitto ne la pietra, et che la spada starebbe più ferma che innanzi. Allora Galgano così fece, tolse la spada e congionse l’un pezzo coll’altro. La spada fu incontenente risalda, ed é stata così salda insino al dì d’oggi?. Nella numerosa iconografia di Galgano si possono ritrovare tutte le figure che, nel loro insieme, caratterizzano la sua vita. Anche gli invidiosi sono rappresentati più volte, così come molte sono le paternità loro attribuite: monaci di un monastero concorrente, civili o semplici briganti, essi appaiono anche negli sfondi di molti dipinti sulla vita del santo. Figure di secondo piano, di cui é ricca tutta la vicenda, comparse, ombre, che, a volte, nascondono alla luce quello che non si dovrebbe vedere. Mi piace pensare che ogni cosa abbia una ragione, un motivo, una spiegazione. Galgano sfugge totalmente al mio desiderio. Chiunque cerchi di affrontare l’enigma, deve soccombere ed a nulla valgono erudite citazioni, lunghi elenchi di personaggi, noti e meno noti, dotti rimandi, forbite conoscenze. Ciononostante é curioso anche solo elencare i più conosciuti tra tutti quelli che appaiono nelle biografie e negli studi sulla vita del santo. Si possono così incontrare in ordine sparso: Abramo, Sara e Isacco, l’eroe caucasico Batraz, Maometto, Dante, Giacobbe, Lancillotto, Freud, Barbarossa, Enea, Caronte, Artù, Yung, Tristano, Isotta, Gano di Magonza, Rolando, Carlo Magno, Gioacchino Volpe, Carl Marx, Adamo ed Eva, san Bernardo, March Bloch, Federico II, Giuda, Gregorio Magno, Isaia, Pilato, Cardini, Nabusardam e chi sa quanti altri, in un elenco che sembra interminabile, una galleria enciclopedica interamente scatenata dall’enigma Galgano. Ad esclusione del viaggio a Roma e forse di visite a religiosi delle vicinanze, Galgano trascorre il resto del tempo nell’eremo, cibandosi frugalmente, ma più spesso digiunando, raggiunto talvolta da curiosi e fedeli, sempre raccolto ? in orationi e meditazioni e contemplazioni, sempre macerando così lo suo corpo?. Oggi su questo tratto di Massetana il traffico é scarso, tranne che nella stagione estiva o nei fine settimana, quando tutti sono in movimento. La superstrada Siena-Firenze si snoda lontano, così come, per raggiungere il litorale, é preferibile utilizzare l’asse Siena-Grosseto. Per i moderni mezzi di locomozione, questa strada é scomoda, tortuosa, ricca di curve, salite, discese, attraversamenti, strettoie. Da Chiusdino ai ruderi del monastero di Guglielmo di Malavalle ci sono circa cinquanta chilometri di Massetana. Molti stranieri, soprattutto d’estate, visitano l’eremo e l’abbazia di Galgano. Non esiste un servizio di guide, forse é possibile richiederlo alla Soprintendenza di Siena, responsabile dell’abbazia, ma, se così fosse, nessuna indicazione avvisa il visitatore di opportunità del genere. Penso che un luogo così affascinante dovrebbe disporre di maggiori strutture, specialmente pubbliche: un servizio guide, magari inizialmente anche solo nei giorni festivi; un manuale espressamente destinato alla visita, un calendario di iniziative che non si limiti alle pur valide, anche se numericamente limitate, rassegne estive. Così com’è gestito oggi, il patrimonio galganiano sembra disposto solo ad una distratta, frettolosa, superficiale visione di sé. Potrebbe non essere difficile immaginare di destinare parte dello spazio ancora inutilizzato a sede di studio, operando, poi, con gli stessi studenti per accogliere i visitatori e per contribuire anche al loro incremento. Galgano é una figura centrale, non può essere relegato in secondo piano, come una stranezza o qualcosa di poco meritevole. Chiunque giunga fin qui, ha diritto a maggiori attenzioni, proprio perché questo luogo é anche fuori dagli itinerari tradizionali. Occorre venirci espressamente, magari sottraendo tempo ai più celebrati capolavori d’arte, di cui tutta la Toscana é ricchissima. Certo, in una solo giornata, metodo viaggio di gruppo tutto compreso, si possono raggiungere Siena, San Giminiano, Montalcino, Volterra oppure San Quirico, Pienza, Arezzo, località che evocano meraviglie di ogni genere e che, sicuramente richiederebbero, ognuna, molto, ma molto più tempo per poter essere adeguatamente visitate. Ma i luoghi di san Galgano sono racchiusi in un fazzoletto, in modo distratto é sufficiente mezz’ora per visitare tutto e, per molti, avviene proprio così. Quanto perdono del loro fascino, del loro mistero e questo anche perché nessuno li accoglie come meriterebbero? Anzi, il turista sembra quasi fastidioso, carne da spremere con souvenir di ogni genere, tutti di pessimo gusto, e niente che lo aiuti realmente a conoscere ciò che ha davanti. In molte località d’arte italiane é ancora questa la normalità. Del resto basta guardarsi in giro: si corre ad aprire un Mac Donald nel cuore del centro storico, si lotta per inaugurare un Blockbuster ai piedi della grande Torre, si disputa con foga il possesso di uno spazio prestigioso per destinarlo ad una qualsiasi delle mode imperanti, ma, naturalmente, in Italia, é difficilissimo trovare una libreria nelle vicinanze dei monumenti, tanto per molti di loro non esistono neppure i libri. San Galgano si salva per l’emporio dell’eremo e quello dell’abbazia, anche se l’offerta é molto limitata, mentre grande spazio é dato, anche qui, alla solita paccottiglia di souvenir e prodotti classici per turisti tipo. In questi miei voli tra utopia e fantascienza, immaginando un’adeguata attenzione per tutto ciò che concerne il colpevole delle mie ossessioni, mi capita di liberare pensieri incontrollati; a volte mi ritrovo lontano dalla realtà e, in qualche modo, mi sforzo di tornare sulla terra, anche se troppo di quello che vedo non mi piace. Sta finendo un millennio. Molti sono convinti di quello che si racconta sul mille e non più mille, credono che davvero l’umanità medievale, temendo la fine del mondo, si sia abbandonata alla follia avvicinandosi al capodanno del primo millennio, vivendo quel periodo nel terrore del Giudizio Universale. Niente di più errato, anche perché allora nessuno aveva coscienza dello scorrere del tempo così come lo intendiamo oggi. Ancora non si era affermata la consuetudine di numerare gli anni a partire dalla nascita di Cristo. Ogni popolo aveva modi diversi per misurare passato e presente, il futuro era comunque per tutti un’incognita inestricabile. Oggi, poi, sappiamo con certezza, o quasi, che anche il nostro caro, vecchio calendario é sballato di qualche anno, che forse la fine del millennio é già avvenuta senza che ce ne accorgessimo e che, come tutte le convenzioni necessarie per interpretare la realtà, esso non é altro che una costruzione della mente di cui, a volte, sembriamo divenire schiavi. Ci facciamo sempre meno domande, non ne abbiamo il tempo, la voglia. Lasciamo che le cose accadano intorno a noi, indifferenti o, tuttalpiù, capaci di esternare solo ipocrisie, demagogie varie, otri di luoghi comuni sempre più universali e omologati, appiattiti nell’assenza di stimoli, pronti a berci qualsiasi idiozia orchestrata dai media, figli di una civiltà dei consumi che spersonalizza anche più di una collaudata tirannia. Niente domande, dubbi, tutti in cerca di certezze, di sicurezza, come bambini impauriti. Chiacchiere! Nessuna vita eterna, niente inferni, paradisi, purgatori, vite ultraterrene, niente di tutto questo; non ci é dato sapere, ma solo cercare risposte ed é proprio quello che non facciamo più. Galgano ci invita ad avere occhi, orecchie, cuore; ci costringe a non fermarci alle apparenze, ci obbliga al dubbio, all’indagine; ci spinge alla ricerca di noi stessi, ci indica la strada per non essere più burattini inerti, ma attivi protagonisti delle nostre scelte. In cambio, chiede attenzione, tempo, risorse; non svela il suo misterioso fascino a chi va di fretta, a chi corre, a chi si avvicina a lui distrattamente, a chi é vittima dell’appiattimento, dell’uniformità, a chi é incapace di liberarsi dei pregiudizi, dei luoghi comuni, delle certezze di facciata. Galgano non impone, non ordina, non dispone, semplicemente, esiste. Non richiede adesioni di fede, né distinzioni di sorta; attende tutti e, ad ognuno, offre le medesime opportunità. Il critico d’arte Carlo L. Ragghianti scriveva nel 1985 che ?la stupenda Rotonda di Monte Siepi, sul sostrato di un fondamentale revival carolingio, possa essere opera significativa di Nicola Pisano e comunque compiuta secondo la sua ispirazione e la sua cultura?. Questa sua convinzione sposterebbe il periodo di costruzione dal 1185 alla seconda metà del Duecento ed é, naturalmente, alquanto diversa da tutte le altre. Ma é così difficile datare un’edificio in maniera certa? Sono un assoluto profano per quanto riguarda le moderne tecnologie archeologiche e confesso che cercherò presto di colmare questa lacuna. Per quel poco che ne so, TV, giornali, libri, mi pare che oggi sia possibile eseguire analisi sui materiali in grado di stabilirne la data con buona certezza. Invece, ogni autore suppone, ipotizza, assegna certificati anagrafici, senza che vi sia neppure concordanza di ipotesi. Chissà chi potrebbe autorizzare analisi di questo genere? La Rotonda é di pertinenza del parroco di Chiusdino e forse solo lui sarebbe in grado di consentire un esame scientifico sull’edificio. Sinceramente, con le mie conoscenze attuali, non so nemmeno se servirebbe a stabilire l’esatta datazione della Rotonda, però potrebbe rivelarsi utile e credo che varrebbe comunque la pena di tentare. Fissare alcuni punti fermi nelle vicende galganiane non modifica certo il valore della sua presenza, ma diviene necessario, se si cerca di riscriverne la storia con meno imprecisioni e fuorvianti ipotesi. Per quanto possa sembrare strano a noi ?moderni’, anche nel XII secolo il tempo passava velocemente e le grandi trasformazioni che sono avvenute nel suo seno, non possono considerarsi inferiori o meno profonde di quelle che abbiamo vissuto noi nel Novecento. Il metro di valutazione non deve certo essere il confronto tra i mutamenti di differenti epoche, ma piuttosto quello del rispettivo impatto sul tessuto sociale e sulle sue consuetudii. E’ evidente che, da questo punto di vista, la comparsa dei mulini a vento o l’introduzione della bussola, la rotazione triennale dei campi o i trattati di medicina, tutta la gamma di nuove attrezzature apparse in quel secolo o i suoi nuovi orizzonti esplorativi, rappresentano profonde variazioni per il tenore di vita della popolazione europea e per la sua quotidiana esistenza da poter essere considerati alla stregua di rivoluzionarie invenzioni moderne. Dieci anni prima o dopo, non sono la fissazione nozionistica di un maniaco delle date, ma possono rappresentare scenari completamente diversi e mutati, avere conseguenze inimmaginabili sui fatti e sugli eventi, modificare convinzioni, demolire certezze. Le vicende di Galgano sono così ingarbugliate, anche perché di datazione imprecisa ed é stato possibile, finora, lavorare solo sulle fonti agiografiche e su documenti come il Cartulario. Uno scavo, poco archeologico, all’interno della Rotonda é stato eseguito nel 1915 e, proprio in quella occasione, é stata rinvenuta una cassetta recante la scritta ?ossa Sancte Galgani?, ma assolutamente vuota, un oggetto che rappresenta un ulteriore tassello del mistero. Perché si scavò allora? Cosa si pensava di trovare? Pare che l’ambiente sottostante la roccia con infissa la spada fosse cavo, una sorta di caverna, antro, ipogeo. A parlare di questi scavi é solo Coco nel suo libro e non ho ancora potuto verificare se esiste una documentazione qualsiasi di quanto accaduto, proprio nell’anno in cui l’Italia entrava nella prima Guerra Mondiale. E’ difficile seguire un percorso in linea retta perché tutto si intreccia e, a volte, io stesso penso di farneticare. Ogni tanto mi assale lo sconforto: sono ancora così lontano dalla necessaria preparazione da sentirmi impotente e anche un po’ fissato. Poi la realtà mi rispinge nel vortice e ritrovo slancio: insicurezze da neofita, penso, e cerco di convincermene. Il problema é che le certezze mi ispirano una discreta antipatia, sebbene non sia possibile farne a meno. Ricordo di aver letto un delizioso libro intitolato ?Il violino di Faenza? dove, in chiave autobiografica, un antiquario narra la nascita e lo sviluppo della sua passione: dapprima gioco, poi, poco a poco, mania, ossessione, ragione di vita. La sua caparbietà nella ricerca, il suo gusto per il dettaglio, la meticolosità nel raggiungere gli obiettivi, la costanza con cui opera, suscitano la mia invidia e, nello stesso tempo, mi inquietano. Ho avuto diverse passioni nella mia vita, nessuna é mai durata a lungo. Esiste tutta un’area di sforzo, di fatica, di dovere, anche nelle passioni, che la mia soglia di resistenza, sempre piuttosto bassa, non riesce a sostenere. Solo Galgano poteva porre fine a quest’abitudine, mio malgrado e per certi versi contro la mia stessa volontà. Solo il mondo che mi ha spalancato, richiederebbe infinite vite, temo già di esserne in qualche misura intossicato. Però provo piacere! E’ una sensazione quanto mai reale, fisica; per ogni nuova scoperta, per ogni conferma, per ogni viaggio, visita, escursione alla ricerca di tracce e di testimonianze; provo piacere quando mi tuffo negli scaffali delle librerie, quando trovo materiali di studio, di informazione, di conoscenza; esulto quando incontro le testimonianze di quell’epoca, mi chiedo sempre più spesso come sia stato possibile emettere su di essa un giudizio così superficiale e distratto. Come sia stato possibile bollare ciò che in realtà non si conosceva neppure, senza nemmeno osservare quanto ci ha lasciato, sfugge ancora alla mia comprensione. Qualche ?illuminato? aveva già avviato, all’inizio del nostro secolo, un processo di revisione e rettifica di tutto ciò che la storiografia aveva fino ad allora prodotto relativamente al periodo medievale. Storici come Haskins prima, come Chenu, Le Goff, Duby in tempi ancora più recenti, hanno speso profonde energie perché queste tesi venissero definitivamente demolite e abbandonate. Oggi, tutti gli studiosi concordano sulla necessità di completare il lavoro di riesame; i punti oscuri, i vuoti sono ancora infiniti e, in molti, casi destinati forse a rimanere tali. Ma tutti, credo, sono concordi nell’affermare che lo sviluppo europeo del periodo a cavallo tra XI e XIII secolo, rappresenta una fase unica, decisiva e irripetibile di tutto il nostro passato. Di questo processo il nostro paese é stato spettatore e protagonista privilegiato, percorso in lungo e in largo dalle idee, dagli uomini, dai loro usi, costumi, culti, dalle opere del loro ingegno, basiliche, pievi, eremi, moschee, palazzi; ha visto profondere tecniche, risorse, capacità lavorative; ha elaborato linguaggi, idiomi; ha lasciato viaggiare miti, leggende, opere. Se nel XII secolo l’Europa rinasce, l’Italia torna nuovamente ad essere culla di civiltà, non solo preda ambita dell’altrui ingordigia, ma anche riferimento culturale, politico, sociale per il resto d’Europa. Fenomeni come quello comunale, come le repubbliche marinare, come il regno normanno, sono esclusivo patrimonio italiano, all’interno di un panorama di per sé già estremamente innovativo e originale. Rimane ancora così tanto da indagare che solo il confluire di interessi e risorse può far riemergere dall’oblio. Nella sola area della Massetana, sono centinaia le testimonianze che da ruderi si avviano a scomparire del tutto, mentre altrettante attendono ancora, da secoli, di rivedere la luce. Dovevano essere ben diverse la valle della Merse e l’area delle Colline Metallifere ai tempi di Galgano. Sul litorale, affidato al controllo di Pisa dal 1162, doveva esistere un discreto traffico commerciale; i borghi ampliavano le mura e le rispettive giurisdizioni, le miniere venivano nuovamente sfruttate, l’incolto si riduceva, le attività agricole rifiorivano. Nascevano piccoli capolavori di architettura religiosa e civile che, oggi, chiedono con urgenza di essere salvati, valorizzati, fatti conoscere, anche ai più distratti. Va tanto di moda il Medioevo adesso. Tutti se ne sono accorti, ma perché non sia un altro gioco fine a se stesso, bisogna mettere radici, porre fondamenta solide perché, passata la grande abbuffata, ne restino le conseguenze migliori. Solo così sarà possibile costruire reali opportunità di lavoro, offrire uno sbocco al potenziale indotto, una via d’uscita e una speranza di rinascita per un territorio che ha tantissimo da regalarci.

Nessun commento: