lunedì 16 luglio 2007

Parte seconda

Per alcuni mesi non mi fu possibile lasciare Milano. Riuscii a scappare, abbandonando impegni e lavoro, solo verso la fine di aprile.
Il tempo era sempre tiranno; troppo poco, rubato, sottratto, sempre meno di quello necessario.
Guardavo e riguardavo la spada, l’impugnatura, la lama, la pietra. Cercavo nella roccia le risposte al mistero.
Ero arrivato alla Rotonda dopo un viaggio allucinante, incidenti e lavori a Piacenza e sulla Cisa, tra Pontremoli e Aulla; fermo due ore sull’antica via di Monte Bardone, così era nota in epoca medievale quella parte di Francigena che univa Fidenza e Parma a Lucca.
Mentre giravo intorno alla bacheca, cercando di scrutare oltre il riflesso del plexiglas per capire se la lama era veramente conficcata nella pietra, pensavo al traffico.
Chissà com’era ai tempi di Galgano, esistevano gli ingorghi, gli incidenti ?
Scoprivo, ad ogni pensiero, di non sapere nulla di quel periodo, della vita quotidiana, degli usi, di come, allora, viaggiavano, pensavano, agivano.
Tutto ciò che sapevo del Medioevo, legato a deboli ricordi scolastici, era che, prima, c’erano stati i Romani, poi il Rinascimento.
In mezzo, i barbari cattivi, i secoli bui, la breve luce di Carlo Magno, famoso più come personaggio da museo delle cere che come realtà storica, quasi mille anni di storia che, presto, avrei scoperto essere molto diversa da come la immaginavo e da come, in parte, l’avevamo studiata a scuola.
Non sapevo neppure come erano fatte le spade all’epoca di Galgano.
Tranne quelle disegnate sui libri di scuola o utilizzate in film e telefilm, non ne avevo mai vista una nella realtà; mai visitata una mostra d’armi, ?una spada é pur sempre una spada? pensavo.
Da quando l’uomo ha imparato a forgiare i metalli costruisce spade, nella mia mente credevo che fossero, più o meno, tutte uguali.
Quella che adesso avevo davanti agli occhi, quasi non mi sembrava una spada.
Spoglia, rifinita male, pesante già nell’aspetto, con quel goffo cerchio di metallo in cima all’impugnatura, e la lama, quel poco che se ne intravedeva, grezza, larga e piatta e poi, forse, quella forma tronca, irreale, a nascondere la sua effettiva lunghezza.
Quante cose avrei dovuto imparare, anche sulle armi.
Cercavo di capire come poteva esserci arrivata, se era proprio quella di Galgano, giunta fino a noi intatta, o se, come quasi tutti sostengono, si trattasse invece di un falso tardomedievale, una copia che avrebbe sostituito, non si sa bene quando, l’originale.
Da angolazioni diverse, la pietra sembrava cementata intorno alla lama; credevo di vedere interventi umani ovunque, come uno scettico di primo pelo, come se a me fosse riservata chissà quale scoperta, preclusa a tutti coloro che mi avevano preceduto, visitatori, fedeli, studiosi, semplici curiosi; stimolante prospettiva anche se molto presuntuosa.
E, naturalmente, sempre per la mia pigrizia, volevo che ciò accadesse già al secondo colpo. Illuso !
L’enigma Galgano, invece, mi trascinava sempre più con sé.
Non avevo trovato nulla sulla spada, non potevo toccarla e nemmeno alzare la cupola di plexiglas che ne limita anche un buon controllo visivo, mantenendola ad una certa distanza.
Tornai ad osservare la cappella degli affreschi.
Nella parte in cui tratta del lavoro di Lorenzetti, il libro di Coco era un groviglio di domande e di rimandi alla pittura, ai messaggi ermetici in essa nascosti, alla storia dell’arte, ai misteri delle sinopie.
Per inciso una sinopia non é altro che il disegno preparatorio di un affresco e nella cappella quadrata se ne potevano ammirare alcune davvero affascinati.
Quella parte di libro, però, l’avevo letta distrattamente, quasi saltata; troppo difficile per la mia impreparazione.
Mi aveva, comunque, molto incuriosito; anche la cappella degli affreschi poteva essere un enigma nell’enigma.
Avevo deciso di comprare tutti i libri su Galgano presenti nell’emporio: un bel volume fotografico con testi di Vito Albergo, parroco di Chiusdino e custode della Rotonda; un librone di un certo Canestrelli sulla storia dell’eremo e dell’abbazia; un altro libricino, perlopiù per turisti, intitolato semplicemente San Galgano, qualche cartolina con le foto della spada, degli affreschi, dell’eremo.
Cominciavo a pensare che sarei tornato spesso, questa mia seconda visita non aveva placato la mia curiosità, non aveva fornito risposte, tuttalpiù aumentato le domande.
La primavera era esplosa in tutta la sua bellezza che, nella valle della Merse, ha un’intensità unica.
Ero ripartito malvolentieri, con pensieri che mi avrebbero accompagnato per tutto il viaggio.
Fino alle vacanze estive non sarei più tornato a Chiusdino.
Tre lunghi mesi in cui ebbi poco tempo da dedicare alla mia nuova ossessione.
Forse era come tutte le altre volte: un grande amore, la passione, la fissazione, l’oblio improvviso, completo; forse mi era già passata.
Lessi distrattamente gli ultimi libri acquistati, senza trovare nulla di nuovo, solo nuove frettolose domande.
Invece, furono proprio le vacanze del ‘95 a sancire la mia definitiva appartenenza all’enigma Galgano.
Rilessi con più calma i libri che avevo comprato, cominciai a parlare di Galgano agli amici che mi ascoltavano attoniti e preoccupati.
Da alcuni anni andavo in ferie a Scarlino, un grazioso borgo medievale a sei chilometri dal litorale maremmano, tra Follonica e Punta Ala.
Era stato il mio amico Pino a farmi scoprire quei posti con ripetuti inviti.
I genitori di sua moglie avevano, a Follonica, un appartamentino per le vacanze e Pino, Antonella e la figlia Marta, erano soliti passarci il mese di agosto.
Anche altri nostri amici, sempre con figli piccoli, trascorrevano le ferie a Follonica e così, nell’estate dell ‘89, dopo alcuni anni in una splendida Sardegna che purtroppo diveniva sempre più onerosa per le nostre povere tasche, decisi, all’ultimo momento, di accettare l’invito e lanciarmi allo sbaraglio.
Non avevo prenotato nulla, fiducioso che non avrei avuto difficoltà a trovare posto per una piccola canadese con cui la mia famiglia avrebbe trascorso la sua prima vacanza in campeggio da quando era nata Alice.
Capitammo al camping Il Fontino di Scarlino per puro caso, dopo che tutti quelli sulla costa erano risultati al completo.
Situato ai piedi della collina su cui sorge Scarlino, immerso nel verde, poco affollato: sembrava proprio che ci stesse aspettando.
Furono belle vacanze e anche quelle degli anni successivi, visto che continuammo a trascorrerle lì.
La Maremma é aspra, forte, dai sapori intensi, con scarsa vocazione al turismo e, forse anche per questo, così penetrante.
Scarlino dista solo 45 chilometri da San Galgano, ma io, allora, non lo sapevo.
Qualcosa però, mi riattirava in quei luoghi e non erano solo un bel campeggio, una splendida natura, un mare bello quasi come quello di Sardegna, un clima invidiabile; non era una spesa contenuta o la presenza degli amici, non dipendeva dalla buona cucina e dai paesaggi.
Non sapevo esattamente cos’era, sentivo solo il desiderio di tornarci, almeno per le ferie.
Adesso so che il richiamo più forte era la storia di questi luoghi, del territorio che vide nascere e crescere il mito di Galgano, che lo vide protagonista e che ne cela, forse per sempre, la verità.
Non é solo questione di vicinanza geografica, ma anche di affinità culturali, storiche, artistiche, che in qualche misura accomunano tutti gli insediamenti distribuiti lungo l’asse viario della Massetana.
L’antico borgo di Scarlino, con la sua rocca, dominava dall’alto la sua propaggine conclusiva: quella che, dopo aver oltrepassato Massa Marittima, poteva dirigersi, come accade ancora oggi, verso Castiglione della Pescaia oppure deviare in direzione di Piombino.
Sembrava incredibile, una strada e un destino comune, molto prima che io incontrassi Galgano, come se l’incontro fosse inevitabile, prefissato, predestinato: in un modo o nell’altro ci sarei dovuto arrivare, andando in ferie o cercando mulini.
Galgano mi aspettava per attirarmi nel suo vortice, nel suo mondo magico, poco alla volta, senza fretta.
Ne sanno qualcosa i miei amici che passarono l’estate a schivare le mie prime scoperte, le mie riflessioni e le ricerche nelle quali mi ero gettato a capofitto.
Avevo iniziato ad acquistare libri anche sul Medioevo, dovevo documentarmi, imparare, conoscere, ma, non avendo alcuna preparazione, mi lasciavo guidare solo dai titoli e dalle immagini in copertina, senza seguire il minimo criterio.
Fortunatamente, le librerie di Follonica non sono le più fornite d’Italia e, solo grazie a questo, riuscii a non spendere più in libri che per le vacanze.
Da allora é passato molto tempo; la biblioteca di cui oggi dispongo é composta da oltre settecento volumi, in prevalenza di storia medievale, ma anche d’arte, di magia, di storia antica, di geografia, di archeologia.
Su Galgano credo di possedere quasi tutto ciò che é stato pubblicato.
Ho dedicato ogni attimo del mio tempo libero alla ricerca, alla lettura, all’indagine sul campo.
Mi sono riscritto all’università, naturalmente facoltà di Storia all’Università Statale di Milano, corso di laurea in Storia Medievale, che sto cercando disperatamente di concludere a singhiozzo.
Breve inciso, ma quanto costa l’università?. Per come funziona, dovrebbero essere pagati gli studenti che ci vanno.
Adesso sto addirittura cercando di scrivere un libro senza nemmeno sapere se sono capace di farlo.
Che atmosfera ho respirato in quell’eremo capace di tanto? che fluido mi é stato somministrato? quale pozione ho bevuto a mia insaputa? che incantesimo ho subito?
Forse, quello che mi ha più attratto é stata la capacità di Galgano di sorprendermi ad ogni passo.
Il viaggio nel suo mistero é divenuto affascinante: per l’inesauribile carica simbolica che contiene e per la sete di conoscenza che scaturisce, inevitabile, mano a mano che si impara a conoscerlo.
Galgano mi ha condotto attraverso il suo secolo, obbligandomi a scoprirlo, anche solo per affrontare le tesi di dotti ed eruditi vari che, su questo singolare santo e sui resti monumentali a lui dedicati, si sono sbizzarriti in sapienti citazioni, in accademici rimandi, in forbite dissertazioni, quasi sempre dando per scontato che il lettore sia in possesso della loro medesima preparazione.
Anche nel fantastico mondo dei numeri, Galgano ha fatto irruzione con tutta la sua furia devastante.
Mi ha costretto a rivedere la mia posizione sulle date, che hanno riacquistato enorme valore e, soprattutto, ha insinuato in me la curiosità per il simbolismo numerico, in particolare quello legato a due numeri, 12 e 21, che altro non sono che il secolo in cui ha vissuto Galgano e quello in cui stiamo per vivere tutti noi, il primo del terzo millennio.
Ho iniziato a visitare chiese, basiliche, abbazie, cattedrali, monasteri, eremi; ad utilizzare la lente di ingrandimento sull’esatto periodo di Galgano, dal momento che s’insinuava in me l’interesse proprio per quel secolo in modo specifico, il dodicesimo, dal 1100 al 1200.
Si era lentamente rivelato con tutto il suo carico di miti, eventi, trasformazioni, e scoprivo che, in soli cento anni, erano racchiusi i Templari, le Crociate, Barbarossa, i Normanni e il loro regno di Sicilia, Eleonora d’Aquitania, l’Amore Cortese, Tristano e Isotta, la cerca del Graal, la Lega Lombarda, le Repubbliche Marinare, i Cistercensi, gli eretici, i Catari, i Valdesi, gli Albigesi, la prima traduzione in latino del Corano, i Trovatori, il Poema del Cid, il ?Decretum Gratiani?, il concordato di Worms, Riccardo Cuor di Leone e Giovanni Senza Terra, suo fratello, Gioacchino da Fiore ed il suo Anticristo, Abelardo ed Eloisa, Artù e i Cavalieri della Tavola Rotonda e chissà cos’altro ancora.
Dovunque, in ogni settore, un grande fermento, una rapida crescita, un’Italia e un’Europa in viaggio, in trasformazione: cantieri per edifici religiosi ovunque, l’elenco delle opere avviate o completate nel corso del XII secolo é impressionante; non vi é città o comunità che non eriga nuove chiese; anche il gusto muta, dal romanico al gotico, ad una fusione di entrambi, spesso di elevata bellezza.
Crescite smisurate, spesso inspiegabili e inspiegate, come quella dei Cistercensi, che, per me, dovevano divenire presto obiettivo di indagine approfondita, poiché furono proprio loro a fondare ed erigere l’abbazia di san Galgano, i cui lavori di costruzione ebbero avvio nel 1218.
Scoprivo, sempre grazie a Galgano, bellissimi capolavori della letteratura medievale, non solo i più famosi e conosciuti, come i romanzi della Tavola Rotonda, ma, anche quelli meno noti e diffusi: scritti dei poeti arabi del XII secolo, di filosofi come Abelardo, di mistici come san Bernardo, di visionari come Ildegarda di Bingen, di cronisti come Caffaro, di musicisti come Rudel.
Lentamente mi accorgevo che era stata anche un’epoca di forti contrasti: teologici, ideologici, filosofici, scientifici.
Sarebbe troppo lungo spiegare che cosa ha rappresentato per me l’incontro con il XII secolo, ma l’immagine che, forse, ne rende meglio l’idea é costituita dalla volta della Rotonda, con i suoi ipnotici cerchi concentrici, una matrioska interminabile di eventi concatenati e indipendenti, un legame che riunisce personaggi e vicende di un’intera epoca, una spirale senza inizio e senza fine.
Ed é sempre solo grazie a Galgano se, oggi, io ho la consapevolezza dell’immenso patrimonio che quel periodo ci ha trasmesso, grazie a lui, che in quel secolo é nato e vissuto.
Poco importa che sia vero, che all’anagrafe di Chiusdino, in un imprecisato giorno del 1148, sia stata registrata la nascita di messere Galgano Guidotti e che, nel registro dei trapassati, lo stesso risulti inserito il 3 dicembre 1181.
Queste sono le date che ci vengono consegnate dalla tradizione e dalla storiografia, sulla base delle biografie della vita del santo, peraltro tutte scritte a partire da qualche decennio dopo la sua morte.
Vi é chi, come i cistercensi, ne festeggia la ricorrenza il 3 dicembre e chi, invece, sceglie il 5 dello stesso mese, come le chiese senese e volterrana, mentre la data che appare ormai accettata dalla critica sarebbe quella del 30 novembre 1181, la stessa proposta dal suo primo biografo ufficiale, Rolando da Pisa.
Queste date collocano, comunque, Galgano proprio nel cuore del XII secolo e delle sue vicende più significative.
Nel medesimo anno in cui egli sarebbe nato, ha luogo la seconda crociata, quella predicata personalmente da san Bernardo e terminata con esiti disastrosi.
Quello nel quale muore, é, invece, l’anno in cui, probabilmente, nasce san Francesco.
In mezzo a questi due eventi, un’Europa, che a quel tempo si chiama cristianità, che si trasforma, che si plasma, che cresce e muta. In tutti i campi !
Altro che secoli bui, barbari e incivili; che eleganza nei disegni del romanico, che slancio nel gotico, che piazze e spazi sublimi, che eredità di cultura.
Monreale, Piazza dei Miracoli, gli Asinelli, i duomi di Parma, Modena, Otranto, Cefalù, Lodi, Verona, le abbazie di Morimondo, Staffarda, Casamari, i castelli, le torri, le mura, i ponti, peraltro rarissimi, i borghi, intere città fondate proprio nel XII secolo, come Alessandria o Poggibonsi, mosaici, affreschi, sculture, icone, gioielli, monili, arredi e corredi, stoffe, tessuti: tutto nasceva e rinasceva, in una sfida che non era solo politica e militare, ma anche culturale e artistica.
Ho imparato a riconoscere l’arte del XII secolo.
Certo, a volte, prendo cantonate galattiche, ma in genere ci imbrocco.
Riconosco campanili, mura; intravedo uno stile, individuo le influenze.
Vista con questi occhi, l’Italia non ha fine.
Non esiste praticamente città, borgo, comune che non nasconda o non ostenti vestigia di quest’epoca.
Spesso, senza neppure saperlo o senza esserne consapevole.
Esiste un’incuria diffusa, un’abitudine a convivere con il degrado, una cronica mancanza di risorse, che rischia di portare alla totale rovina gran parte di questo patrimonio.
Meno famoso e frequentato di altri, meno indagato e studiato, si sta lentamente, ma inesorabilmente, disfacendo.
Un patrimonio che, oltre ai suoi straordinari aspetti artistici, può essere considerato unico per l’originalità delle vicende politiche dell’Italia di quei tempi e per la loro inevitabile e naturale influenza nello sviluppo della vita quotidiana.
Quello che, forse, mi infastidisce di più, é la totale assenza di interventi semplici, direi quasi banali, per i quali non occorrono risorse astronomiche, ma solo un po’ di buona volontà comune.
Un esempio per tutti può essere rappresentato dalla segnaletica d’arte, che nel nostro paese ha aspetti comici e drammatici insieme.
In un’epoca di localismi, autonomie e secessioni, é tanto difficile prendersi cura almeno delle proprie risorse artistiche?
Forse, ultimamente, qualcosa sta cambiando, anche una certa moda del Medioevo é utile per accendere i riflettori e vedere, prima che sia troppo tardi.
Galgano ha mutato anche il mio modo di pensare, riflessioni come questa non ne avevo mai fatte, per apprezzare bisogna conoscere. E il vortice non ha fine.

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