lunedì 23 luglio 2007

Parte undicesima

In questo luogo, dove tutto nasce e tutto ritorna, a Chiusdino, un nome che, anche etimologicamente, richiama l’idea di uno spazio racchiuso, impenetrabile; a Monte Siepi, che si erge a racchiudere il mistero.
E’ la vigilia di Natale, la notte del 24 dicembre 1180, per inciso, di nuovo dodici per due del dodicesimo mese dell’anno, quando Galgano sale la collina e infigge la spada; é il 30 novembre 1181 quando spira.
Trentatré anni di vita nel cuore di un secolo attraversato da figure sospese tra realtà e leggenda, dai primi cavalieri crociati che nel luglio del 1099 hanno riconquistato Gerusalemme, al campione della Reconquista in Spagna, il Cid Campeador, il cui romanzo vede la luce intorno al 1140; da re Artù ai Paladini di Carlo Magno, la cui epopea letteraria invade l’Europa proprio durante quel secolo.
L’ideale cavalleresco, che dall’inizio del secolo é sempre più codificato e regolato, colpisce sempre l’immaginario collettivo: da esso nascono eroi epocali, la cui forza simbolica ha saputo però sconfiggere anche il tempo per consegnarcene la memoria.
Galgano, a modo suo, é un prototipo, un nuovo esempio di cavalleria senza spada.
Sembra anticipare l’ideale francescano di crociata non violenta nella quale, deposte le armi, si diviene missionari.
Simbolizza anche, in modo molto chiaro, un processo di ?smilitarizzazione? ecclesiastica.
Questo aspetto, per la sua importanza nel processo evolutivo, merita una parentesi di approfondimento, anche perché mi é apparso poco sottolineato nella storiografia ufficiale.
Due sono secondo me le questioni fondamentali.
La prima é che, dopo la breve, ma determinante parentesi imperiale di Carlo Magno agli inizi del IX secolo, la dissoluzione e frammentazione del potere centrale abbia favorito lo sviluppo dei particolarismi, mentre la seconda vede, in questa fase di anarchia istituzionale che abbraccia, a grandi linee, i secoli X e XI, molti vescovi divenire, in vario modo, governanti, comandanti militari, Conti.
Non sempre si tratta di fedeli alleati del papato, poiché é ancora in pieno svolgimento la lotta per le investiture; molto spesso sfuggono al controllo ecclesiastico, agiscono come meglio conviene al mantenimento del loro potere, si schierano con gli antipapi, sono espressione della grande aristocrazia feudale.
Non é un caso se il primo, decisivo obiettivo del papato é proprio quello di sottrarre la loro elezione al potere laico ed aumentare sempre più la separazione giuridica tra i due mondi.
Il problema non é che uomini di chiesa si occupino di politica, si comportino come sovrani, facciano guerre, siano peccatori, ma che essi derivino il loro potere da istituzioni laiche.
Il famosissimo Dictatus Papae del 1075 é, su questo punto, molto chiaro.
Ci vorranno decenni di conflitti perché si realizzi nella sua pienezza, ma esso non concede spazio ad interpretazioni compromissorie.
E’ la questione di fondo!
Al punto che, rischiando anche di annoiare, ritengo giusto riportarlo integralmente nei suoi 27 punti:
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Appare evidente, anche ad una lettura superficiale, che uno dei nodi centrali é proprio quello di sottrarre al potere laico ogni occasione di controllo e gestione del personale ecclesiastico mentre, nello stesso tempo, un altrettanto chiaro messaggio, rivolto al proprio interno, ribadisce le gerarchie agli ordini della Chiesa romana.
Alle decisioni di papa Gregorio VII, estensore del documento, l’imperatore Enrico IV risponde facendolo deporre da 24 vescovi tedeschi e 2 italiani, riuniti in sinodo a Worms nel 1076.
Il pontefice, a sua volta, scomunica Enrico IV ed é la prima volta che viene colpito un imperatore, dai tempi di Teodosio ad opera di S.Ambrogio nel 394.
Durante questo scontro, avviene, nel 1077, l’arcifamosa vicenda dell’umiliazione di Enrico IV a Canossa, dove il sovrano tedesco riesce ad ottenere il ritiro della scomunica a fronte di un pentimento, che si potrebbe definire politico, e che sarà, subito dopo, ritrattato.
La Chiesa sembra consapevole della necessità di questo processo, il suo potere é di gran lunga maggiore se le sue milizie vengono sottratte per sempre alla giurisdizione laica.
Fintanto che ciò non avviene, può essere accettabile l’idea del guerriero della fede, purché correttamente schierato.
Anzi, é opportuno stabilirne codici, regole comportamentali, limiti e poteri, affinché possa agire, sempre e solo, in nome della chiesa di Roma. I
l rapporto tra strutture ecclesiastiche e militari richiederebbe molto più spazio di una breve divagazione, soprattutto quando si tratta di un periodo in cui i due aspetti si confondevano spesso nelle medesime persone.
Ulteriore motivo, oltre a quelli ufficialmente dichiarati dal mondo ecclesiastico, per tentare di porre al proprio servizio qualsiasi forma di organizzazione di tipo militare, con metodi che andavano dalla vera propria adulazione fino alle più cupe minacce di scomuniche ed interdetti in caso di rifiuto.
All’inizio del XII secolo, infatti, é la Militia Christi, sono le teorie di San Bernardo sulla crociata, é l’invenzione del ?malicidio? che giustifica e motiva la guerra santa; il soldato di Cristo é valoroso, leale, giusto; combatte per la fede al suo servizio, anche nel privato rifugge il peccato, é casto, puro.
Nel ?De consideratione?, redatto tra il 1148 e il 1152 per papa Eugenio III, san Bernardo gli accorda le due spade, simbolo dei poteri spirituale e temporale.
Lentamente, ed a prezzo di conflitti asprissimi, i principii si affermano.
Si impongono, con sempre maggior fermezza, il celibato ai preti e la confessione obbligatoria ai fedeli; si unisce e si separa.
La chiesa cattolica completa l’opera di sovrapposizione ai culti preesistenti con l’appropriazione dei loro miti che, opportunamente edulcorati e rielaborati, divengono esempi di comportamento, veicoli di messaggi di vita.
Galgano é, dentro questo processo, allo stesso tempo, questione locale e simbolo universale.
Il suo gesto ha una forza così dirompente che é necessario imbrigliarla e piegarla, non é un caso infatti se a domarla arrivano proprio i cistercensi.
Essi soli dispongono del giusto contesto culturale per fare propria la figura di Galgano, così come, poi, essi stessi ce l’hanno tramandata.
Le ragioni che stanno alla base del loro arrivo a Monte Siepi sono, sicuramente, più complesse di quest’unico enunciato e, naturalmente, noi disponiamo, per tentare di comprenderle, solo di testimonianze di parte, ma credo sia lecito avanzare qualche ipotesi dopo essersi cibati a lungo della materia.
Ritengo che, verso la fine del XII secolo, a Monte Siepi o nei dintorni, sia realmente esistito qualcuno che, sull’onda di un movimento eremitico, in quel periodo molto vivo in Toscana, abbia deciso di ritirarsi in solitudine, magari raccogliendo pian piano fedeli e adepti dalle zone circostanti.
C’é sicuramente del vero in tutta la leggenda, poiché é improbabile che i Cistercensi potessero inventarsela di sana pianta, decidendo poi di stabilirsi proprio ai piedi del presunto paese natale del santo.
Può anche darsi che quest’eremita si chiamasse davvero Galgano Guidotti e avesse realmente inserito la spada in una fessura preesistente.
Era comunque un boccone troppo ghiotto, proprio nel momento in cui l’epopea arturiana iniziava a vivere la sua stagione più felice e l’ordine cistercense la elevava a proprio patrimonio e modello culturale.
Il processo potrebbe così aver avuto uno sviluppo graduale, progressivo e, almeno all’inizio, anche altalenante.
Quando Galgano muore, si afferma un culto locale che, con buona probabilità, coinvolge gran parte del territorio.
E’ certo, provato e documentato il desiderio dei vescovi volterrani di non consentire uno sviluppo autonomo del culto, ma, bensì, di sfruttarlo, essi stessi, per ottenere una maggiore presenza e, quindi, anche una superiore pressione, in un’area di confine e di continui conflitti.
E’, infatti, Ugo Saladini, vescovo di Volterra, ad ordinare la sepoltura di Galgano a Monte Siepi e ad avviare la costruzione della Rotonda, nel 1183.
Saladini non riesce a vedere completata la sua opera poiché muore nel 1184; sarà, quindi, il suo successore, Ildebrando Pannochieschi, a consacrarla nell’agosto del 1185.
In quello stesso anno, Federico Barbarossa stipula, con l’antica rivale Milano, un accordo che, se da un lato lascia campo libero ai milanesi contro le città sue nemiche, dall’altro la impegna ad appoggiare l’imperatore nel recupero dei beni matildini che tornano, per l’ennesima volta, ad essere rivendicati, dopo le intese raggiunte a Venezia solo 8 anni prima.
Nel 1186, grazie anche all’accordo con Milano, Federico invade i territori matildini e inaugura una politica di forte penetrazione in Toscana e Piemonte.
Nel medesimo anno, il matrimonio tra suo figlio, Enrico VI, e Costanza d’Altavilla, unica erede del Regno normanno di Sicilia, viene celebrato, proprio a Milano, nella basilica di S.Ambrogio, dopo che lunghe trattative con papa Lucio III, succeduto al più intransigente Alessandro III, fortemente avverso all’unione per i rischi di accerchiamento che le nozze avrebbero reso inevitabile, avevano sancito un provvisorio riavvicinamento tra Chiesa e Impero contro il comune nemico rappresentato dal diffondersi dei movimenti ereticali.
E’ proprio in questo periodo e all’interno di questo scenario, che appare il primo atto a favore dei ?fratres religiosos Sancti Galgani in Monte Sepii?.
Il documento originale é andato perduto, ma viene ricordato in un privilegio concesso ai monaci, il 25 febbraio 1196, dal duca di Toscana Filippo, fratello di Enrico VI.
Il quadro inizia a prendere forma e non é possibile avanzare ipotesi di alcun genere, senza avere ben presente il momento, il luogo, il contesto politico militare in cui tutto ciò avviene.
L’ultimo ventennio del secolo é decisivo per l’assestamento degli equilibri.
L’Europa feudale sta scomparendo, progressivamente sostituita da quella degli Stati.
Il sogno imperiale, mai sopito dalla scomparsa di Carlo Magno e, anzi, rinvigorito dalle mire e dai successi di Barbarossa, é, anch’esso, al declino.
Il condottiero non lo sa e persegue con caparbietà la sua politica fino alla morte, avvenuta, all’improvviso, per annegamento nel torrente Salef, durante la III crociata nel 1191.
Non é sufficiente uno sguardo distratto su questo ventennio, per azzardare qualsiasi tesi e non basta nemmeno alzare veli su scenari ridotti; bisogna osservarlo nel suo insieme, negli intrighi, negli scambi, nelle attività diplomatiche e in quelle pastorali; analizzare alleanze e forze in campo; collegare luoghi, corti, personaggi.
E’ però evidente che, per un’incredibile serie di circostanze, Monte Siepi diviene all’improvviso un centro vitale a tal punto che le figure istituzionali più importanti d’Europa, papato e impero, se ne accorgono ed intervengono entrambe, una con il processo di canonizzazione e beatificazione di Galgano, l’altra con privilegi e regalie varie.
Il valore del luogo deve essere ben presente per un interesse così ad alto livello.
Sappiamo che Federico Barbarossa scende in Italia per la sesta volta proprio nel 1184, incontra Lucio III a Verona, ed é possibile che, in quel periodo, sia realmente transitato anche da Chiusdino, come affermano documenti posteriori.
Il 31 luglio 1185 é a Firenze, insieme ad insigni giuristi, tra i quali é presente il ferrarese Aldagerius, cugino dei figli di Cacciagiuda. Sono con lui anche i nobili del contado, con a capo gli Ubaldini, i Firidolfi ed il vescovo di Firenze, Bernardo. Pochi giorni dopo presiede alla consacrazione della Rotonda a Monte Siepi. Nelle varie Leggende, questo evento viene presentato come predetto da Galgano.
E’ uno dei testimoni nel processo di canonizzazione ad affermare che il santo aveva previsto l’arrivo dell’imperatore presso il suo eremo.
Mire vescovili, mire imperiali, mire comunali: tutti allungano le mani sul mito e questo non avrebbe avuto alcun senso se Galgano non avesse già raccolto un consistente consenso, magari ponendosi anche al di fuori delle istituzioni religiose e di quelle laiche esistenti sul territorio.
Infissa o inserita nella roccia, la spada può divenire il simbolo del processo di mitizzazione del santo eremita.
Chi fosse davvero Galgano non importa più per lo sfruttamento del suo culto, conta ciò che é possibile mostrare e narrare.
Per più di trent’anni ci si raccoglie intorno alla Rotonda, la grande abbazia non esiste ancora e bisognerà attendere i primi anni del Duecento, perché si inizi a progettarne la costruzione.
Doveva possedere un’eleganza unica, la Rotonda, prima di essere appesantita da aggiunte poco rispettose del suo stile.
Dominava la piana sottostante dall’alto della collina e nulla interrompeva lo sguardo tutto intorno.
Solo il borgo di Chiusdino, allora come oggi, si stagliava, nitido, nel portale d’ingresso, allineato in modo che gli ultimi raggi di sole, al tramonto proprio alle spalle del borgo, colpissero l’elsa della spada infissa nella roccia.
E prima ancora, quando neppure la Rotonda esisteva, com’era la collina quando Galgano decise di terminare lì la sua esistenza? Fin dove era giunta la sua fama?
Il rompicapo non permette soluzioni, ma é paradossale che qualsiasi ipotesi, anche la più strampalata, possa apparire plausibile.
Qualche documento, alcune notizie e di Galgano si può dire quasi di tutto: che non é mai esistito, che era un santo, che lo hanno manipolato, che la spada é falsa, che é vera, che era un nobile, che era eretico, un cataro, un pacifista, un visionario.
Lui, però, non si scompone, sorride divertito e pensa; osserva, curioso, la curiosità altrui e occulta le risposte ai suoi misteri. E’ sempre il Concilio Lateranense del 1179 ad interdire ai laici la predicazione ed il commento delle sacre scritture, rivolgendosi soprattutto ai Valdesi e ai Poveri di Lione, ma, anche, a forme di eremitaggio fuori dalle regole. Mentre Galgano agisce, un altro mondo si afferma nelle corti d’Europa.
E’ questa anche la grande stagione dei trovatori e dell’amor cortese, un fenomeno, nello stesso tempo, letterario e di costume, di cui il mito di Galgano si é nutrito ampiamente.
Penso che molto vi sia ancora da scoprire sulle origini e sullo sviluppo della lirica cortese, però, quello che già conosciamo e che possiamo leggere perché conservato e trasmesso sino ai giorni nostri, é, a dir poco, sbalorditivo.
Anche un’escursione nella produzione letteraria del secolo diviene obbligatoria, per riuscire ad inquadrare l’atmosfera intorno a Galgano.
Possiamo così incontrare autori di ogni genere: epico, filosofico, teologico, narrativo, storico, divulgativo, saggistico, lirico.
Sono rimasto colpito, quando ancora iniziavo ad orientarmi in un’epoca pressoché sconosciuta, per il senso di trasformazione che si avverte e che traspare da molte opere, quasi che gli autori avessero la consapevolezza del mutamento in atto.
Mischiando un po’ autori, stili, contesti, non se ne abbiano a male i puristi, otteniamo un quadro che, nella varietà e nell’originalità, mostra i suoi tratti più insoliti e inaspettati.
Sono gli anni in cui operano figure come Bernardo di Tours, Pietro Lombardo, Robert Wace, Giovanni di Salisbury, Giraut de Bornelh, Mosé Maimmonide, Chrétien de Troyes, Andrea Cappellano, Hartmann von Aue, Arrigo da Settimello, Bertran de Born, Gherardo da Cremona, Jaufré Rudel, Enrico Aristippo, Gautier d’Arras e chissà quanti altri.
Si scrive di tutto, ogni argomento appare elemento di confronto, dialogo, scontro; si disputa di astri, mestieri, viaggi; si traducono i classici greci dall’arabo, si organizzano i primi trattati scientifici.
Nel 1155 nasce la Sorbona e poi, via via, altre Università in tutta Europa.
Non basterebbe un’enciclopedia a racchiudere tutto.
Certe volte penso che sia stata una vera fortuna non poter disporre di fonti e testimonianze complete, perché, già così, si rischia di perdere la bussola, si, proprio la bussola, importata in Europa dagli arabi, pare, ovviamente, intorno alla metà del XII secolo.
Non perdonerò mai a Galgano il tiro che mi ha giocato, imprigionandomi nel suo enigma e non gliene sarò mai abbastanza riconoscente.

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