venerdì 20 luglio 2007

Parte sesta

Anche con i nomi legati alla leggenda di Galgano é possibile un gioco ricco di molte curiose sorprese, quasi certamente coincidenze, ma così particolari da garantire un sano divertimento assieme ad un fantastico viaggio nella mitologia. La fidanzata di Galgano, innanzi tutto: Polissena di Civitella Paganico, che appare in tutte le biografie del santo, anche se in posizione di secondo piano, ma sempre con questo particolare nome. Avrebbe potuto chiamarsi in mille modi, nomi più comuni all’epoca, più diffusi nella zona, e, invece, ecco un nome che qualcuno ha interpretato addirittura come la risultante di ?Polis + Senae?, cioè nativo o proveniente dalla città di Siena, ipotesi che la maggior parte degli studiosi considera fuorviante, errata e, ovviamente, inutile. Polissena, però, e questo lo trovo davvero particolare, é lo stesso identico nome nientemeno che della figlia di Priamo, re di Troia, e di Ecuba. Amata da Achille, mentre lo sta aspettando in un tempio per sposarlo, se ne vede privata, all’improvviso, da Paride che scaglia la famosa freccia, guidata da Apollo fino al tallone dell’eroe greco, unico suo punto vulnerabile. Guarda caso, anche la nostra Polissena di Civitella perde il suo promesso sposo nel momento della scelta eremitica e, paradossalmente, questo avviene proprio quando Galgano si sta recando ad incontrarla. Di lei si perde ogni traccia, mentre la sua unica apparizione nell’agiografia del santo é marginale e secondaria. Però esiste e si chiama proprio così. Il gioco può proseguire ancora divertente con la Polissena della mitologia per ritrovarci dinanzi ad altri stravaganti collegamenti con il santo di Chiusdino. Risalendo a ritroso nell’albero genealogico di Polissena, attraverso i padri dei padri, dopo sei re, incontriamo addirittura Giove, signore dell’Olimpo. Nomi e numeri: sei padri e, naturalmente, sei madri, ed ecco di nuovo il dodici, forse perché io voglio trovarlo ovunque. Sarebbe necessario un trattato mitologico per seguire ognuno di questi personaggi, ma anche con un normale dizionarietto da quindicimila lire, il gioco continua a stuzzicare e le stranezze sono ad ogni passo. Ritroviamo, ad esempio, continuando nei collegamenti con Polissena e con i personaggi a lei riconducibili, la famosa leggenda del Palladio, simulacro in legno della dea Pallade-Atena nell’atto di scagliare la sua lancia. Si narra che la statua cadde dal cielo, collocandosi da sola sull’altare dell’erigenda città di Troia, durante il regno di Ilo. Si narra anche che il Palladio fosse formato con le ossa di Pelope e che, grazie ad un congegno interno, scuotesse la lancia della dea. Per volere dei Fati, Troia non poteva essere conquistata finché il Palladio fosse stato custodito entro le sue mura. Ulisse e Diomede rubarono la statua durante l’assedio della città, che divenne così espugnabile, e di lei si persero le tracce, mentre fiorivano le versioni relative alla sua sorte. Secondo alcuni fu portata ad Argo da Diomede; per altri, persa in Grecia, venne ritrovata dal re Demafonte e collocata sull’acropoli di Atene. Infine, per molti, venne salvata da Enea e portata in Italia. Qui, dopo la fondazione di Roma, venne posta, dapprima, in cima ad una colonna davanti al tempio di Bellona, poi, nel tempio di Vesta, dove, custodita dalle sei Vergini, dette appunto Vestali, avrebbe garantito la durata della potenza di Roma. Curioso dettaglio, il tempio di Vesta, unico tra gli edifici di uguale importanza, era rotondo, mentre tutti gli altri erano quadrati. Ancora l’immagine di circolarità che torna ad apparire sulla scena dell’enigma, entrandovi da un’altra dimensione temporale. Polissena, da cui siamo partiti per questa escursione nella mitologia, conclude i suoi giorni in modo traumatico: fugge presso i Greci dopo la morte di Achille e si trafigge con una spada sulla sua tomba. Secondo un’altra versione della leggenda, invece, l’ombra dell’eroe morto appare ai Greci che si accingono a tornare in patria, chiedendo loro il sacrificio di Polissena. Così, il figlio dell’eroe, Neottolemo o Pirro, immola la fanciulla sulla tomba del padre, trafiggendola con la sua spada. Di nuovo una spada, una tomba, vita e morte, simboli e atmosfere che si inseguono, si rincorrono, si intrecciano. Un nodo gordiano inestricabile, un vaso di Pandora di passato, futuro, mito, leggenda, mistero. L’enigma Galgano si autoalimenta, si espande, si dirama; come un albero, mette foglie, rami, radici; produce frutti, fiori, linfa; assorbe risorse, elabora vita. Facile perdersi nelle sue fronde, smarrirsi nell’intrigo dei rami, immergersi nel profondo delle sue radici. Come una strana pianta carnivora che consuma, assimila e trasforma, l’enigma continuava a condurmi dove non avevo mai immaginato di andare. C’é chi sceglie le crociere, chi il villaggio tutto compreso, chi ama le gite sociali e chi anela esclusivi eden, chi non rinuncia al Grand Hotel e chi é costretto alla pensioncina; esiste il viaggiatore solitario, l’amante dell’estremo, l’esploratore, l’abitudinario, il maniaco ed il pignolo, l’improvvisato e l’esperto: io ero tutto, contemporaneamente! Mai ossessionato, almeno secondo me, semmai, sempre incuriosito, attratto, intrigato; esagerando un po’ potrei dire pervaso, mi sono lasciato trasportare, senza opporre resistenza, sui sentieri della mia curiosità. Tutto é stato usato come spunto, ogni dettaglio, citazione, richiamo. Rifornita l’astronave di nuove conoscenze, il viaggio é ripreso su rotte inesplorate. Come non tuffarsi nel mito del Graal, ad esempio, anche per cercare di comprendere quanto finora gli studiosi hanno scritto sull’argomento in relazione alle vicende di Galgano ? Il tema é talmente affascinante e attuale, da aver attratto editori e autori in una nuova e per certi versi anche ?pacchiana? corsa al suo sfruttamento. In questi ultimi mesi si é perso il conto dei libri, dei romanzi, dei rifacimenti che si occupano, direttamente o indirettamente, del Graal e delle mitiche avventure del re dei Bretoni. Tralasciando la moda, con diramazioni nel cinema, nel fumetto, nel multimediale, pochi sanno che persino i famosi Monty Phyton hanno di recente prodotto un CD rom con cui giocare in modo molto ironico con Artù e i suoi cavalieri, l’argomento stimola nuove indagini e continuerà, forse in eterno, a dividere gli storici. I richiami ad esso, nell’agiografia di Galgano, sono talmente evidenti da permettere di escludere casualità di sorta, ma, piuttosto, consentono di riesaminare questioni come quella relativa alla diffusione della materia di Bretagna nel nostro paese, al periodo in cui ciò avvenne, alla sua penetrazione e alle influenze che ebbe sugli usi e sulla letteratura italiana. Agganci così numerosi da richiedere uno studio molto più serio delle ambizioni di queste pagine da illetterato, ma basta ricordarne alcuni per accorgersi della loro importanza ed evidenza. Esattamente come Perceval, anche Galgano é descritto come Figlio della Vedova ed anche Dionigia, sua madre, lotta per impedire la sua scelta eremitica, esattamente come la madre di Perceval cerca, in ogni modo, di trattenere il figlio che intende raggiungere Artù e i suoi cavalieri. Come Perceval, anche Galgano si ritrova a dover porre la ?famosa domanda? agli Apostoli che gli sono apparsi in sogno, ma, mentre Perceval esita, non segue il suo istinto e non chiede spiegazioni su ciò a cui sta assistendo nel castello del Re Pescatore, Galgano domanda lumi sull’immagine che vede al di sopra dei dodici e ne ottiene da loro immediata risposta. Numerosi altri richiami, analogie, similitudini con i personaggi chiave dell’epopea graalica sono sparsi ovunque nelle varie versioni della leggenda, costituendone, senza alcun dubbio, l’humus principale fin dall’inizio dell’intera vicenda, a partire proprio dai due sogni che portano Galgano alla scelta eremitica e che possiedono in embrione tutti gli elementi che concorrono a disegnare il personaggio. Su di essi sappiamo, sempre e solo, quanto dichiarato ai delegati papali dalla madre Dionigia. Durante la prima visione, narrata immediatamente alla madre al suo risveglio, non si sa bene a quale età, quando, dove, in che occasione, Galgano sogna che il beato Michele lo reclama per farne suo adepto. Nel secondo sogno, avvenuto alcuni anni dopo, Galgano rivede nel sonno san Michele, principe degli angeli, che gli ordina di seguirlo. Viene così condotto ad un ponte che non può essere oltrepassato senza difficoltà. Galgano lo attraversa grazie alla presenza dell’arcangelo e raggiunge così un verde prato ricoperto di fiori profumatissimi. Lasciato il prato, egli segue Michele all’interno di uno spazio sotterraneo da cui si ritrova in cima alla collina di Monte Siepi dove ?...trovava dodici apostoli in una casa rotonda, li quali recavano uno libro aperto, e che elli lo leggesse ne la qual parte del libro era questa sentenza: ?Quoniam non cognivi licteraturam, introibo in potentias Domini, domine memorabur iustitiae tuae solius?. Alzando gli occhi al soffitto della rotonda, dopo aver rifiutato il libro perché non sa leggere, Galgano vede una splendida immagine nell’aria e chiede agli apostoli di cosa si tratti. ?E’ la Maestà divina? gli rispondono i dodici, che lo invitano anche a costruire, in quel luogo, una casa simile a quella che sta osservando. Deve costruirla in nome di Dio, della beata Maria, di san Michele arcangelo e degli apostoli. Qui Galgano dovrà soggiornare ?per plures annos?. Questa versione dei sogni di Galgano mescola un po’ le varie biografie del santo, ma la sostanza le vede tutte concordi negli aspetti essenziali. Esiste ben più di un richiamo in tutta la trama; siamo, invero, in presenza di un enunciato preciso, una dichiarazione di intenti che non lascia dubbi. Percorso a ritroso, il secondo sogno é inequivocabile: si deve costruire la Rotonda e consacrarla alla dottrina cistercense. Delle due l’una: o i Cistercensi hanno piegato alle loro esigenze il mito e il culto di Galgano, oppure Galgano era già cistercense senza saperlo. Egli infatti sogna esattamente come vorrebbe san Bernardo. Tutto il XII secolo é contrassegnato dall’affermazione del culto della Vergine ed é stato proprio Bernardo a promuoverne lo sviluppo. La saldatura tra la leggenda laica e nord europea di Artù e la sua trasformazione in epopea cristiana e religiosa é tutta riassunta nella figura di Galgano. Il punto di raccordo, di fusione, di elaborazione, si può ritrovare intorno alla sua leggenda. Sarà un caso, ma proprio negli anni in cui Galgano viene fatto nascere, Bernardo di Chiaravalle é presente, di persona o attraverso la sua numerosa corrispondenza, a tutte le più importanti vicende politiche. Sempre lui interverrà nel divorzio tra Eleonora d’Aquitania e Luigi VII, re di Francia nel 1152, così come era già accaduto per il loro matrimonio nel 1137. Ancora Bernardo aleggia anche nelle nuove nozze di Eleonora con il futuro re d’Inghilterra, Enrico II Plantagento, nello stesso 1152, solo pochi mesi dopo il divorzio. Proprio alla corte di Eleonora e, soprattutto, a quella di sua figlia Maria, fiorì e prosperò il mito di Artù. La sua popolarità all’epoca doveva essere talmente diffusa, anche nel nostro paese, da ritrovarne tracce nell’archivolto del portale del duomo di Modena del 1135, nel mosaico pavimentale del duomo di Otranto del 1165, nell’attestazione di vari nomi propri da esso derivati. Il grande romanziere medievale Chrétien de Troyes, forse, non fa altro che fornire un corpo omogeneo ad una leggenda che si era già sviluppata attraverso canali molto variegati, dalla tradizione orale agli adattamenti etnici più disparati, dalle innumerevoli versioni al vasto patrimonio di opere raffigurative. Quando Chrétien scrive, il mito é già europeo, diffuso come pochi, anche perché rappresenta la speranza che un predestinato risolva per sempre tutti i problemi per volontà divina. Artù degli albori é solo un valoroso condottiero, l’Artù del mito é un prescelto da Dio. Quando alla Rotonda arrivano i Cistercensi, quando decidono di costruire l’abbazia nella piana sottostante la collina, sono passati diversi anni dalla morte di Galgano. e, nuovamente, assistiamo a qualcosa di familiare: i primi discepoli del santo, in disaccordo con i nuovi arrivati, abbandonano il luogo per non farvi più ritorno. Qualche anno dopo qualcosa di simile accadrà anche ai primi confratelli di san Francesco. Certo, tutte queste vicende, noi le conosciamo sempre e solo attraverso le biografie di Galgano, i diplomi imperiali e gli atti notarili del cartulario che, ovviamente, non forniscono risposte a dubbi di questo genere, né confermano diaspore accertate e, tantomeno, le loro eventuali ragioni. Chissà se si verrà mai a capo del mistero. Galgano subisce persino una riesumazione in occasione della consacrazione della chiesa rotonda. Il suo corpo, sepolto fino ad allora ?Iuxta spatam?, fu dapprima esposto al popolo, che lo vide ancora integro mentre emanava profumi soavi, con la testa coperta da molti capelli e, successivamente deposto dove, ancora oggi, é indicata la sua tomba. Quante domande attendono ancora una risposta, quante non ne avranno mai. Sulla volta della cappella degli affreschi, erano dipinti quattro profeti minori, ma che combinazione, anche loro sono in tutto dodici; due sono in buone condizioni e rappresentano Abacuc e Aggeo; un terzo é in cattivo stato ed illeggibile, mentre il quarto é andato definitivamente perduto. Abacuc é rappresentato con lo sguardo fiammeggiante ed un cartiglio in mano, mentre Aggeo ne mostra uno in cui si esalta la grandezza del Tempio. Chi erano gli altri due profeti? Quale significato teologico o simbolico aveva la scelta proprio di questi quattro profeti? Per le figure dei profeti ecco che ci viene in soccorso l’Antico Testamento e qui, nuovamente, ritroviamo simboli, numeri e figure ormai familiari. Aggeo é il profeta che porta la parola del Signore ai Giudei nell’anno secondo del regno di re Dario e li guida, successivamente, fino alla ricostruzione del Tempio. Egli parla a Zorobabele, governatore della Giudea, e al sommo sacerdote Giosué. Si rivolge al popolo in diverse occasioni: il ventiquattro del sesto mese dell’anno secondo del re Dario, il ventuno del settimo mese, il ventiquattro del nono, quando le ultime parole del Signore, pronunciate dal profeta, risuonano terribili: ?Scuoterò il cielo e la terra, abbatterò il trono dei regni e distruggerò la potenza dei regni delle nazioni, rovescerò i carri e i loro equipaggi: cadranno cavalli e cavalieri; ognuno verrà trafitto dalla spada del proprio fratello. In quel giorno - oracolo del Signore degli eserciti - io ti prenderò, Zorobabele figlio di Sealtièl mio servo, e ti porrò come sigillo, perché io ti ho eletto, dice il Signore degli eserciti?. La costruzione del Tempio terminò il giorno tre del mese di Adar nell’anno sesto del regno di re Dario. I giudei allora celebrarono la consacrazione del Tempio offrendo cento tori, duecento arieti, quattrocento agnelli; inoltre dodici capri come sacrifici espiatori per tutto Israele, secondo il numero delle sue tribù. Abacuc, che si ritiene profetasse ai tempi di Nabucodonosor (604-562 a.C.), ha nelle sue parole accenti di incredibile attualità e visioni apocalittiche davvero singolari. Pensare alla guerra in corso nei Balcani, mentre si legge Abacuc, é proprio agghiacciante: ?Fino a quando, Signore, implorerò e non ascolti, a te alzerò il grido: ?Violenza!? e non soccorri? Perché mi fai vedere l’iniquità e resti spettatore dell’oppressione? Ho davanti rapina e violenza e ci sono liti e si muovono contese. Non ha più forza la legge, né mai si afferma il diritto. L’empio infatti raggira il giusto e il giudizio ne esce stravolto...?. Non male per un profeta di tremila anni fa, così conosciuto da disporre anche di soprannomi simpatici e persino un po’ irriverenti come ad esempio quello di ?Zuccone?. Abacuc é, infatti, così chiamato bonariamente dai fiorentini per la testa pelata della sua statua realizzata da Donatello, un tempo esposta in una delle nicchie del campanile di Giotto a Santa Maria del Fiore di Firenze, e oggi sostituita, come le altre che occupavano le sedici nicchie poste al secondo piano, da copie i cui originali sono esposti nel Museo dell’Opera del Duomo. Di Ababcuc poi, ne esistono addirittura due ed il secondo sarebbe stato afferrato per i capelli da un Angelo e portato dalla Giudea in Babilonia, sull’orlo della fossa dei leoni dove era stato gettato il profeta Daniele. Ababcuc portò a Daniele il cibo che aveva preparato per i mietitori e fu subito dopo ritrasportato dall’Angelo in Giudea. Perché vennero scelti proprio loro due per ornare la volta della cappella quadrata insieme all’altra coppia non più visibile e identificabile? Avrei bisogno di un teologo pocket, da portarmi nel taschino per interrogarlo ad ogni dubbio, dal momento che la mia ignoranza in materia di liturgia é abissale. Dove sono finite le spoglie di Galgano? Oggi si può ancora osservare la reliquia della Sacra Testa, di cui é nota buona parte del viaggio da Monte Siepi a Siena e ritorno. E’ una reliquia decisamente inquietante, un teschio ornato di capelli ingrigiti, appena percettibile dietro il vetro opaco del reliquiario che lo contiene. Che suggestione anche in questo aspetto del culto di Galgano, quasi un invito ad usarla, la testa, non solo per portarsela a spasso. Per oltre quattrocento anni, ha vissuto nella senese chiesetta detta del Santuccio, dopo essere stata portata via dall’abbazia intorno al 1500. Dal 1977 la Sacra Testa ha cambiato nuovamente sede e, contemporaneamente, reliquiario. In particolari occasioni viene ancora esposta nella Rotonda, mentre abitualmente é visibile nella Pieve di San Michele a Chiusdino. Tutto vi ritorna, al centro vitale, alla spada nella roccia. Negli autori che affrontano la materia galganiana é possibile trovare di tutto, dai sostenitori dei centri cosmici agli esoterici, dai mistici agli storici, dai letterati agli studiosi d’arte; ognuno segue il filo della sua ricerca, della sua curiosità, a volte con precisione maniacale; scruta dettagli impercettibili, affronta sotterranee correnti di pensiero, elabora ipotesi, formula tesi e nemmeno l’insieme di tutte le pubblicazioni riesce a racchiudere l’infinito Galgano. Eppure un luogo così, un mito come il suo, che dovrebbe illuminare ogni cosa intorno a sé, dopo secoli di splendore, giace ai bordi di un paradiso che rischia davvero di essere perduto per sempre. Un lento, ma inesorabile esodo, l’abbandono di interi borghi, la fuga dalle campagne, la pesante eredità dell’industrializzazione, il degrado, corrodono ed erodono il tessuto vitale di questo angolo incantato di mondo, così geloso del suo passato da averlo persino scordato. Ridare memoria storica, ridare valore, liberare risorse per rinascere: Galgano indica la strada, ne illumina il patrimonio, é una figura chiave, testimone di un’epoca, emblema di un viaggio attraverso l’uomo. Sono passati cinque anni dall’inizio di questa mia avventura e ancora non mi spiego perché tutto é accaduto proprio a me. C’é persino chi sostiene che sono stato invaso dallo spirito del santo che, ormai, si esprime attraverso di me. Se non fossero argomenti troppo seri, mi divertirebbe pensare che é vero, ma non c’é nulla di sovrannaturale nella mia passione. Non mi sento chiamato da voci ultraterrene, non sogno angeli, non infiggo spade nella roccia, anche se, in certi momenti, tradisco comportamenti da missionario galganiano. Per chi non ha subito la medesima folgorazione, la mia dedizione all’eremita di Chiusdino, appare incomprensibile, quasi che, a spiegarla, fosse necessario invocare il divino, giusto per non dire la follia. Alcuni riescono ad intravedere nell’universo Galgano pregevoli meraviglie artistiche, altri storiche, altri ancora spirituali o culturali, ma nessuno ha mai pensato o pensa di farne una ragione di vita. Io invece sogno la nascita di un centro di studi medievali, un cuore pulsante di ricerche, iniziative, corsi di formazione; un luogo di opportunità per i giovani del territorio, un laboratorio di sperimentazione, capace di divulgare il valore di questo patrimonio unico e di offrirlo alla crescente domanda di turismo culturale; un centro promotore di nuove attività archeologiche, in un’area che potrebbe riservare numerose sorprese e contribuire a riscrivere intere pagine della sua storia. Un luogo che possa divenire osservatorio permanente del grande fermento in atto e del considerevole interesse verso il Medioevo, una realtà sempre più viva e presente con Associazioni, Federazioni, figuranti, arcieri, balestrieri, sbandieratori; con un aumento esponenziale di feste, palii, rievocazioni, fiere, tavole rotonde, convegni. Il centro di studi galganiani dovrebbe specializzarsi sulle vicende italiane ed europee del dodicesimo secolo, facendosi promotore di iniziative editoriali, rievocative, di salvaguardia, recupero e restauro, di ricerca. Dovrebbe lavorare per far nascere il Parco Archeologico della Massatena e attrarre su di esso il maggiore interesse possibile e nuove risorse per la rinascita di tutto il territorio. Il gioco dei numeri ritorna a bussare alla mia follia; Galgano mi ha spalancato le porte di un secolo capace di affascinarmi al punto di cambiare la mia vita. Il caso, le convenzioni, il destino, hanno voluto che questo secolo fosse proprio il dodicesimo e che, come in uno strano specchio, esso rimandasse a quello che sta per iniziare, il ventunesimo, circostanza, tra l’altro, che si verifica per la prima volta dall’anno zero e che non capiterà di nuovo fino al 3000. Mi piace pensare di riuscire a realizzare questo sogno proprio agli inizi del nuovo millennio, magari ponendone le basi nell’ultimo anno del vecchio. Forse in questo sogno convivono molti desideri, una certa stanchezza della città dove sono nato e vissuto fino ad oggi, forse dipende dalla voglia di spazi aperti, di verde, di fiumi, tramonti, profumi, che riesco ad assaporare solo nei pochi giorni di ferie, ma di cui inizio a sentire sempre più la mancanza. La natura intorno a Monte Siepi é ancora capace di improvvise sorprese, di semplici certezze, di atmosfere palpitanti. Spesso mi é capitato di immaginarmi perso nella macchia, costretto a vivere solo di quello che sono in grado di procurarmi, mille anni luce lontano dalle comodità moderne, la luce, l’acqua corrente, il riscaldamento, la macchina nel box, lo stipendio a fine mese, la mutua, la pensione, i ticket, i mezzi pubblici, gli orari, il codice fiscale, le multe, i divieti, l’affitto, il telefono, internet.

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